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mercoledì 8 aprile 2020

Quaresima: Stile 1830

QUARESIMA: STILE 1830

Album Ottocentesco

In un grazioso salottino in puro stile 1830, la giovane “damigella” sfoglia un poco nervosamente l'ultimo numero del Giornale delle Dame, la rivista di mode, d'arti e di lettere che ogni signora per bene tiene in vista sul suo tavolino. E poiché l'inverno – dice il giornale – ha ripreso con inaudita vivacità, occorre ritornare ai soprabiti di pellicce e ricoprire le membra freddolose con abiti caldi.
Per uscire di giorno era tuttavia consigliabile un mantello di rosa turco azzurro di colore foderato di giallo “botton d'oro”; e un abito di merinos celeste ornato di rosette ricamate a due colori “che facciano un giro solo a due palmi dal basso e si alzino a punta nel mezzo”. I piedini dovevano esser chiusi in stivaletti di raso turco come il mantello, mentre il visetto avrebbe avuto tutto da guadagnare calzando un cappellino di velluto ornato di nastri. Così appariva nella sua grazia un poco biricchina una giovane bisava di cento anni fa. Ma non questo cercava la nostra damigella battendo un po' seccata il piede sul tappeto uscito da una manifattura inglese. Cercava una bella toilette per sera, nuova, originale, vivace, che facesse restare a bocca aperta per l'invidia l'orgogliosa Bellinzaghi, la formosa Cagnoni, la bella Decio, la bionda Tallachini e altre rose in boccio che stavan per schiudersi nella serra calda della nuova e simpatica borghesia milanese ricca, intraprendente, libera dalla fredda e pesante solennità autunnale di certa aristocrazia, rimasta ferma sulle posizioni di prima del 1796.

illustrazione moda corriere delle dame
Corriere della Dame - 5 novembre 1830

 
In quei giorni di quaresima, severa e grave per tutti, la celebre Carlotta Marchionni furoreggiava nella tragedia classica e nel dramma romantico; e – al dir dei gazzettieri – “era il polo artico dell'emisfero comico che agiva al teatro Re”.
Ma la mamma non voleva che nel periodo quaresimale si mettesse il piede in un palchetto di teatro. E su questo, per amore di pace, cedeva anche l'indulgente papà; uomo di affari e di larghe vedute, il quale in quei giorni era tutto in faccende per metter in azione una filanda a vapore venuta dall'Inghilterra e allestita dal Bossi, specialista in materia, che stava laggiù nello stradone di Sant'Angelo, in casa Kramer. Ma dopo lungo contrastare si era venuti a un compromesso: si sarebbe andati al concerto della Società del Giardino: cosa lecita e benissimo intonata col tempo di penitenza. Questo non impediva alla figlia viziata di sfoggiar qualche bell'abitino nuovo; e permetteva inoltre di incontrar quel bel giovane dagli occhi di fuoco sotto l'alto cilindro nero, che al corso si imponeva con un magnifico mantellone bleu scuro foderato di vivo scarlatto; e si diceva che fosse un giacobino, un carbonaro, un mazziniano, un pessimo soggetto insomma; che tutto il giorno leggeva, e sapeva a mente le poesie del Berchet.
Non aveva mancato il brigante, che conosceva le belle maniere e i dettami dell'ultima moda, di lasciare al portiere la sua carta da visita di finissimo cartoncino Bristol, avendo avuto cura di rinchiuderla in una busta leggera, perché le ditacce dei rozzi domestici non profanassero il candore immacolato del biglietto.
Ma il caro papà, pur apprezzando il bel gesto, non si era ancora deciso ad ammetterlo in casa sua. Non già che fosse uno spiantato o un poco di buono; tutt'altro. Però quei modi spigliati, quel sospetto di carboneria o altro, il genitore voltairiano ex prefetto, ex-barone del defunto impero bonapertesco, eran affari da ponderare seriamente e con calma. E fra il padre e la madre della leggiadra damigella ancora la più inflessibile era la seconda, imbevuta delle idee della Santa Alleanza; mentre il padre, manifatturiere e amico del progresso sotto forma di macchine a vapore, intravedeva – chi sa? – fra le intemperanze di quei giovanotti sognatori e romantici, la possibilità di un rinnovamento politico che portasse un grande sviluppo negli affari e nelle industrie. Ciascuno intorno al 1830 aveva un modo suo proprio per sentire l'indipendenza dallo straniero e la libertà. Nelle sue sale smaglianti, la Società del Giardino, in contrada San Paolo, offriva di quaresima fior di trattenimenti. Non era ancora stata fatta la così detta Sala d'Oro; opera di Giacomo Tazzini che l'aveva edificata in cinque mesi in occasione della venuta dell'amatissimo Imperatore Ferdinando nel 1838; ma anche il salone detto dell'Arganini non era men ricco di ori e di volute in stile ionico, che sfavillavano alla luce fiammeggiante di lampadari dalle mille e mille candele di purissima cera.
Concerti sceltissimi aveva organizzato il presidente – o come allora si usava dire – il conservatore Ercole Viscontini, banchiere milionario, il quale fu il padrone e l'ideatore del palazzotto di una riposante architettura classica, costruito in faccia al monumentale edificio che sul frontone s'orna del superbo nome dei Belgioioso d'Este. Due epoche, due mondi si guardavano alteramente nella deliziosa piazzetta; e pareva che i due palazzi avversari si fossero scelti come arbitra nella loro controversia la modesta casa – messa a chiusura della piazza verso la contrada del Morone – posseduta dall'immortale Don Lisander.
Il fatto è che, ai concerti del Giardino, nobili e ignobili facevano ressa; ed erano avvenimenti mondani di primo ordine da far parlare le gazzette. Dopo i successi della Belloc, quella che tanto filo da torcere aveva dato all'impresa della Scala, un altro astro prometteva ai soci del Giardino serate indimenticabili. Era la celeberrima Lalande che doveva arricchire un saporito programma musicale col suo intervento ricercato. Chi, meglio di lei, avrebbe saputo punteggiar di virtuosissimi trilli una cavatina del maestro Florio; e sfolgorare poi nella melodica preziosità del Rondeau a variazioni dell'inimitabile Donizetti?

Scritto il 9. III. 1932
 

Ringrazio l'amico collezionista Mirko Valtorta, per avermi concesso la lettura cartacea di questo libretto.
 

Lettura Consigliata:
Milano d'una volta – I – Album Ottocentesco
Alex Visconti
Fondazione Treccani degli Alfieri per la Storia di Milano
1944 – 95 pag
 
 


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