L'ASSASSINIO DI RE UMBERTO I
Il Tragico Fatto e l'Impressione a Monza
Il Cittadino - Rivista di Monza e del Circondario
02 agosto 1900
Prima Pagina - dal libro La Cronaca diventa storia - Il Cittadino |
IL FATTO
Da testimoni oculari e dai famigliari della real casa abbiamo potuto raccogliere parecchie notizie notevoli. La catastrofe avvenne appena prima il Re lasciato il palco presidenziale e salito sulla carrozza, stava per uscire dalle palestre. Sul suo passaggio a tre metri di distanza s'addensavano due fitte ale di popolo. Mentre il Re, montato sulla carrozza, che era preceduta da quattro dei nostri pompieri, rispondeva ai saluti della folla, pello, l'assassino, con un tiro preciso e fulmineo, gli scaricò in pieno petto i tre colpi di rivoltella. Il Re barcollò, lasciò cadere il cappello, si strinse la testa tra le mani, piegando verso sinistra, poi sedette e parve riprendere d'un tratto forza e sangue freddo, gridando l'ordine di partire. I cavalli, che al rumore dello sparo si erano impennati, partirono al galoppo; nel frattempo i vicini afferravano l'assassino, facendo a terra sotto le percosse furiose della folla eccitata. Lungo il breve tragitto il Re si scosse, toccò il panciotto spostandolo leggermente per sentire s'era ferito e mormorò: "Mi pare di non esser stato colpito"; poi cadde riverso, cogli occhi sbarrati: pare dalle induzioni dei medici che sia spirato mentre la carrozza passava il cancello della villa.
ALLA VILLA
La regina abbigliata in abito di pranzo attendeva al ritorno il Re allo scalone. Appena si vide dinanzi il cadavere del consorte, svenne e fu raccolta e portata via dai famigliari, mentre i generali Ponzio Vaglia, Mainoni e Serafini trasportavano il sovrano nella sua camera da letto. Furono recati di fretta candelabri e cordiali: arrivarono prima l'assessore dottor Savio, poi il chirurgo dott. Vercelli, infine il dott. Erba, direttore dell'ospedale, ma non poterono far altro che constatare la morte. La Regina, riavutasi, si portò al letto del consorte, collo sguardo impietrato, con aspetto calmo e dignitoso, senza lagrime; lesse negli occhi dei medici il responso fatale, e si buttò sul cadavere del Re a baciarlo. Mons. Bignami, credendo di ravvisare nel corpo del sovrano le contrazioni di un estremo singulto, gli diede l'assoluzione in articulo mortis. Pochi minuti dopo arrivarono alla villa reale l'arciprete mons. Rossi, il sindaco Corbetta, e il deputato Pennati; mons. Rossi accompagnato da Don Alselmo Bellani, fu introdotto gen. Ponzio Vaglia nella camera ove giaceva il cadavere. Nella notte giunse pure in carrozza da Milano il sac. Giulio Cantù, coadiutore a S. Gottardo in Palazzo; successivamente arrivò anche lo stesso proposto di S. Gottardo, sac. Bertoglio. Il cadavere deposto sul letto coperto da un ampio lenzuolo bianco la testa fu strettamente legata da un fazzoletto in direzione verticale: un notevole rigonfiamento si era prodotto alle orecchie per una stasi interna di sangue.
L'ASSASSINO
L'assassino Gaetano Bresci di Prato fiorentino d'anni 31, venne denudato, rinchiuso in una camera della caserma dei Reali Carabinieri, sorvegliato da due sentinelle. Interrogato dal tenente Borsarelli sulle cause che determinarono in lui il ferale proposito, rispose di non seccarlo, e che non aveva voglia di parlare. Secondo alcuni però avrebbe dichiarato di essere anarchico e di non avere complici. Venne lunedì notte trasportato alle carceri, che sono straordinariamente sorvegliate da sentinelle. Per il servizio d'ordine sono stati chiamati da Milano un drappello di alpini e quaranta carabinieri e due squadroni di cavalleria. Due impiegati telegrafici sono stati distaccati a Monza dall'ufficio centrale di Milano in servizio straordinario per l'enorme affluenza dei dispacci.
I SUFFRAGI
Lunedì mattina la Regina assistette alle due messe celebrate nella camera del sovrano, su di un altare improvvisato, da Don Giulio Cantù e da mons. Bignami: poi mandò a chiedere un nuovo celebrante a mons. Arciprete che fece tosto sospendere l'ultima messa in Duomo per soddisfare all'augusta domanda. Mons. Arciprete che era ritornato alla reggia la mattina di lunedì di buon'ora per presentare le condoglianze sue, del Capitolo, del Clero della fabbriceria e delle associazioni cattoliche incaricandone il generale Avogadro di parteciparle a S. M. la Regina, si recò pure martedì mattina col rev. Teologo, e col fabbriciere Sig. Mina rinnovando le condoglianze al conte Oldofredi: i due prelati celebrarono la S. Messa alla presnza della salma. La notte del misfatto appena ritornato dalla reggia, mons. Arciprete si era fatto premura di telegrafarne la triste novella a S. Eminenza il Car-nale Arcivescovo che si trovava in visita pastorale ad Arsago: S. Eminenza rispose a mons. Arciprete pregandolo di partecipare le sue sentite condoglianze alla Regine e alla Reale famiglia, ritornò poscia a Milano ove ha pubblicato la seguente circolare: Ai Prevosti e Parroci della Città e Diocesi di Milano. Profondamente costernati per l'esecrando delitto consumato nell'Augusta persona di sua Maestà il nostro Re, a manifestazione di lutto ed a suffragio dell'anima del defunto Sovrano ordiniamo quanto segue: 1) In questa sera si suonino le campane di tutte le Chiese della Città. 2) In tutte le Chiese Parrocchiali e Collegiali, tanto della Città che per la Diocesi, si canti quanto prima si possa una Messa da Requiem datone il segno la sera antecedente col lugubre suono delle campane. Milano, da Palazzo Arcivescovile il 30 luglio 1900. Andrea Card. Arcivescovo - Giuseppe Ghezzi Can. Ord. [...]
[...]
GLI ARRIVI
In questo giorno fu un continuo giungere di congiunti della Real famiglia e di ministri e di alti dignitari dello Stato. Lunedì alle ore sedici il Sindaco colla Giunta, l'avv. Brambilla, presidente della Congregazione di carità, e l'ing Mina vicepresidente della Società Ginnastica si recarono a palazzo reale a partecipare alla Regina il vivo e unanime sentimento di rimpianto e di cordoglio della intera cittadinanza.
I SOVRANI
Sono giunti ieri sera alle ore 19 i nuovi sovrani cui era stata comunicata la triste notizia della morte di Re Umberto dal Capo di Spartivento. Vittorio Emanuele III non voleva prestar fede al terribile annuncio, ma pur troppo più tardi ebbe la dolorosa conferma del fatto. A Capo d'Armi i sovrani ricevettero 120 telegrammi che davano loro tutti i ragguagli del luttuoso fatto: ivi la nave Yela fu pure incontrata da una delle torpediniere partite dal porto di Messina in traccia del legno reale.
[...]
LA TRISTE IMPRESSIONE
"Descrivere l'impressione che ha prodotto nell'animo nostro la terribile notizia diffusasi come folgore questa notte, non ci sarebbe possibile; fu come se una mano gelida ci serrasse il cuore: o per alquanto tempo la mente colpita dall'orrore di un delitto così grave, ebbe pena ad acquistarne coscienza di certezza, come sempre accade per i fatti che ripugnano intimamente alla stessa natura umana. [...] "L'enumerazione delle vittime di questa brutalità formata da cento perversioni dell'anima umana, sarebbe in questo istante retorica, mentre senza dubbio il misfatto compiutosi ieri a Monza è tale da superare per noi in gravità i precedenti, e di tutti riassumerli in unica immagine luttuosa. "Perché non è soltanto come uomini, offesi nel senso più delicato e civile, il senso del rispetto alla vita umana, che noi oggi soffriamo; è anche come cittadini, i quali nel Re riconoscono il rappresentante di quella autorità, posta per disposizione di Dio in mezzo agli uomini, e i quali nella vittima augusta non veggono solo la persona, ma l'istituto, e sanno che l'istituto appunto più che la persona volle l'assassino prendere di mira, e colpire, e sopprimere, nel suo orgoglio di uomo che dopo essersi ribellato a Dio ripetendo il non serviam dell'angelo delle tenebre, non può tollerare nessun segno eminente del principio che da Dio solo promana e in lui solo sicuramente poggia. "Noi vorremmo che la sciagura d'ieri ravvivasse negli italiani la coscienza del pericolo che sovrasta al paese, della necessità di ritornare prontamente a criterii ineccepibili d'ordine e di giustizia, cercandone il presidio là dove l'ordine e la giustizia hanno sansione inesorabile. [...] Dall'Osservatore Cattolico [...]
Il Cittadino di Monza e della Brianza è un periodico locale italiano edito a Monza.
Il primo numero de il Cittadino uscì giovedì 17 agosto 1899. Il giornale era l’espressione dei cattolici monzesi che volevano far sentire la loro voce in un momento molto difficile, in cui il "non expedit" (non conviene) di Pio IX li emarginava dalla scena politica italiana. È cominciata allora una lunga storia non ancora interrotta: anni di informazione locale e un radicamento sul territorio, fanno del giornale la testata leader per autorevolezza e diffusione a Monza e in tutta la Brianza. Oggi l’identità de il Cittadino è cambiata: si presenta come la voce del territorio e della sua gente, con l’ambizione di essere un punto di riferimento nel dibattito politico, economico e culturale di Monza e della Brianza.
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