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sabato 27 febbraio 2021

Il Fiasco della Madama Butterfly

  

 MADAMA BUTTERFLY, DEL MAESTRO PUCCINI.

Novità Musicali. Il Fiasco.

 La Domenica del Corriere

  28 febbraio 1904
  
Se dei giovani operisti italiani Franchetti è il più forte, Puccini è certo il più fortunato, non volendo tener conto del Mascagni di Cavalleria Rusticana. Nulla di più naturale adunque che l'annuncio di un'opera nuova del Puccini dovesse destare la più viva curiosità. Dopo la truce sua Tosca, il Puccini aveva sentito bisogno di riposo: un riposo però in parte forzato, perché in realtà egli non riusciva a trovare un libretto che gli piacesse, che lo innamorasse e rispondesse alle peculiari qualità del suo ingegno. Avvenne che una sera il maestro lucchese si recasse in un teatro di Londra ove ripetevasi da tempo con successo un piccolo dramma in un atto: Madam Butterfly, di David Belasco, tratto dalla novella americana omonima di John L. Long. Ignorando l'inglese, il Puccini vide ma non potè intendere quel lavoro: troppo poco veramente per un'opera drammatica, ma l'impressione che egli ne riportò fu tale da non dimenticarla più. E si provò a rivestire mentalmente di note musicali il fresco e suggestivo drammino anglo-americano, giungendo a persuadersi ch'esso poteva essere il nocciolo di un libretto in versi italiani per la sua futura opera. Diede dunque incarico a Giuseppe Giacosa ed a Luigi Illica di accingersi all'impresa. Poiché il dramma del Belasco era troppo poca cosa, i due poeti vi aggiunsero un atto, il primo: un atto di preparazione e di presentazione dei personaggi: un atto gaio e leggero che avrebbe reso più vivo il contrasto col secondo, pervaso di passione ed intensamente drammatico.

Così nacque l'opera in due atti Madama Butterfly, di Giacomo Puccini, eseguitasi per la prima volta la sera del 17 corrente al teatro La Scala, di Milano. 

 

domenica del corriere milano puccini
 
Appunto per la simpatia stabilitasi subito fra il soggetto del libretto ed il musicista, si poteva prevedere che neppur questa volta al Puccini sarebbe mancato il successo da parte del pubblico: quel grosso pubblico che gli vuol bene, perchè ascoltando una sua opera può abbandonare il teatro con nelle orecchie i facili ritmi di una romanza, di un duetto, di un intermezzo orchestrale. Senza “Recondite armonia”; senza “Vissi d'arte, vissi d'amor”, o “Lucevan le stelle”, o “Dal mio cervel sbocciano i fior”, ecc,. né alla Tosca, né alla Bohème avrebbe forse arriso così larga e generale la fortuna!

Quantunque un po' troppo analitico, il libretto di Madama Butterfly conserva quel profumo di grazia ingenua, di fervida speranza, di passione inconscia che è nella novella di John L. Long. La scena ha luogo nel Giappone, in una piccola casetta a pareti mobili, su la collina di Nagasaki, tra i fiori. Il tenente della marina americana F.B. Pinkerton, giungendo in quel porto con la cannoniera Lincoln ch'egli comanda, ha il capriccio di prendervi una casetta ed una moglie, contrattando questa e quella per 999 anni, ma con facoltà di sciogliere i contratti alla fine di ogni mese. La legge al Giappone consente ciò. Un sensale adatto, Goro, lo provvede dell'immobile... mobile e della donna: Cio-Cio-San, una fanciulla di buona e già ricca famiglia, di 15 anni, semplice come l'acqua e che diventerà salda nei suoi affetti. Alla presenza del console americano, Sharpless, del commissario imperiale e dei parenti di lei, Pinkerton sposa dunque Cio-Cio-San, a cui dà il nomignolo di Butterfly (farfalla); poi, annoiato dal cicaleccio dei parenti e delle maledizioni di uno zio bonzo fanatico alla nipote perché osò rinnegare gli Dei giapponesi (è la scena del nostro disegno a colori), scaccia tutti, e rimane solo con la temporanea sua sposa a… cantare il duetto d'amore col quale ha fine il primo atto. 

Da questo al secondo atto intercedono tre anni. Pinkerton è tornato con la nave agli Stati Uniti, e Madama Butterfly è invece rimasta nella casetta regalatale dal suo signore, tutta intenta ad allevare un bimbo nato dalla sua facile unione con l'ufficiale, che non ha più visto ma che ritornerà, che dovrà ritornare, perché glie lo dice il cuore.
E aspetta e aspetta, e intanto ella confida la sua fede alla servetta Suzuki, la quale vuole invece esortarla a diffidare. Gli uomini, si sa!...
Ma Cio-Cio-San non s'inganna: ora il bimbo ha nome Dolore, ma presto, all'arrivo del padre, si chiamerà Gioia.
Ecco giungere il console americano con l'incarico di avvertire Cio-Cio-San che Pinkerton, il quale ignora di essere padre, sta per tornare con la sua nave a Nagasaki, ma sposo di una fanciulla americana: Cio-Cio-San non fu che un capriccio ed egli l'ha dimenticata. Ma Cio-Cio-San che, pare impossibile, si è innamorata davvero, non lo lascia discorrere: Pinkerton sta per venire: lo sente. Infatti, egli arriva con la sposa autentica, e come Madama Butterfly s'incontra con la rivale, intuisce ogni cosa: ripone il bimbo su di una stuoia, lo esorta a giocare e si taglia la gola: tanto già, il bimbo non potrà più chiamarsi Gioia, perchè il suo bel sogno, il roseo romanzetto della sua vita è finito.
 
domenica del corriere fiasco puccini

Questo il tenue dramma che innamorò il Puccini e che, rappresentato da un'attrice intelligente, dovrebbe piacere; ma una commedia lirica è cosa ben diversa, e ciò che diletta nel teatro di prosa può sembrare senza interesse allorchè la favola venga necessariamente allungata dalla musica ed il suo svolgimento attardato. Così toccò appunto all'opera pucciniana.

Quantunque il libretto, pur lento e frammentario, fosse piaciuto alla lettura, musicato esso parve lungo, scialbo, monotono. Ed ecco una delle cause, e non l'ultima, dell'insuccesso di Madama Butterfly al teatro La Scala.
Perché purtroppo – e lo scriviamo con vivo dolore – la nuova opera di Giacomo Puccini non piacque, od almeno non ottenne quel largo e caldo suffragio di approvazioni a cui il maestro ci aveva avvezzati coi precedenti suoi lavori. Stavolta la consueta abilità, la gentilezza e la simpatia che spirano dalla sua musica, le facili ma giudiziose risorse d'invenzione, di adattamento e di trovata gli fecero difetto.
Certo egli non fu mai un grande inventore; certo la sua fantasia non ha mai spiegato ali poderose se nella seconda sua opera richiamò volentieri melodie della prima, e nella terza delle due precedenti e nella quarta delle tre che le precedettero; ma non anche egli si era ripetuto con tanta persistente audacia come in Madama Butterfly. Più che semplici spunti, vi sono in essa frasi quasi intere di Villi e di Bohème, vi sono rirmi a riconoscere i quali non occorre alcuno sforzo di memoria. E ciò deve specialmente addolorare. La ripetizione, in così tenue bagaglio di opere quale è quello del Puccini non può non lasciar pensare ad una limitazione d'ingegno, ad una trasparente povertà di fantasia, ad un'inventiva circoscritta da angusti confini. Né la tecnica è tale da far perdonare la poca originalità dell'idea.
In Madama Buterfly è bensì evidente l'assiduo sforzo per raggiungere forme musicali più elette, più nobili, ma ciò, anziché giovare, ha nociuto al Puccini, che pel gran pubblico è l'operista della semplicità, della chiarezza, diremo quasi dell'evidenza. Ciò che in lui era più caratteristico sembra scemato senza compenso di una maggiore invenzione.

Nel primo atto il dialogo musicale – un dialogo spezzato e frammentario, in gran parte formato di tenuità, di piccoli insignificanti particolari d'azione drammatica e musicale – non è interrotto che da una fresca scena: l'arrivo di Cio-Cio-San insieme alle amiche; ma la frase tematica, che pure è bella, ritorna poi dieci, dodici, quattordici volte, sino alla sazietà. Lo stesso duetto d'amore che chiude l'atto è imperniato su di essa, sì che nell'ascoltare non produce più impressione. Qui è venuta meno al maestro la consueta abilità. Infatti il duetto, che avrebbe potuto e dovuto essere il successo dell'opera, lascia indifferenti, anche troppo.

Nel secondo atto vi sono qua e là pagine di qualche bellezza: il duettino dei fiori, l'aria dell'attesa e quella del sonno del bimbo, la prima parte dell'intermezzo orchestrale; ma sono oasi a troppa distanza l'una dall'altra perchè chi ascolta non deve soggiacere ad un senso di stanchezza.
Madama Butterfly ha infatti stancato, profondamente stancato. Il secondo atto dura un'ora e mezza: troppo quando la lentezza dell'azione drammatica non sia compensata da densità e continuità di pensiero musicale.
Terminato il primo atto, il maestro Puccini fu chiamato due volte alla ribalta, ma non senza contrasto; dopo l'ultimo qualche timido applauso venne soffocato da un generale zittìo. Certo il pubblico, così largo in passato di acclamazioni al Puccini, parve troppo severo.
Eccedè allora nella lode come stavolta nel biasimo. E poiché gli eccessi si correggono col tempo da soli, può darsi che Madama Butterfly, alleggerita in talune parti, possa viaggiare con qualche fortuna su le malfide scene dei teatri lirici. Intanto a Milano l'opera non si ripeterà, avendo il maestro ritirato lo spartito. Tale ritiro può sembrare un atto impulsivo ab irato, ma noi non sapremmo condannarlo: quando si è divertito e commosso per tanto tempo il pubblico col meglio del proprio ingegno, si può, si deve avere il diritto a quella rispettosa tolleranza, a quella benevola indulgenza che la folla incomposta che invadeva La Scala non ha avuto per l'autore di Madama Butterfly.
 
 
Ringrazio l'amico collezionista Mirko Valtorta, per avermi concesso la lettura cartacea di questo settimanale.

La Domenica del Corriere è stato un popolare settimanale italiano fondato a Milano nel 1899 e chiuso nel 1989. Fortemente voluto da Luigi Albertini, allora direttore amministrativo del Corriere della Sera,apparve per la prima volta nelle edicole l'8 gennaio 1899 come supplemento illustrato del Corriere della Sera. Stampata in grande formato, aveva 12 pagine e veniva distribuita gratis agli abbonati del Corriere, oppure si poteva acquistare in edicola per 10 centesimi. Non fu concepito come periodico di informazione, per non risultare un doppione del quotidiano. Venne pensato come «settimanale degli italiani». Doveva scandire, come un calendario, le loro giornate liete, le loro tragedie, i loro fatti piccoli e grandi. La prima e ultima di copertina erano sempre disegnate. Il Corriere si avvaleva di un giovane disegnatore, Achille Beltrame, allora sconosciuto, a cui veniva affidato in ogni numero il compito di rendere con la sua tavola il fatto più interessante della settimana. Dopo la sua morte nel 1945, fu sostituito da Walter Molino che, come il suo predecessore, firmò memorabili copertine.
 
 
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La Domenica del Corriere - 28 febbraio 1904

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2 commenti:

  1. Una descrizione che quasi ci teletrasporta dentro a questa bellissima opera non troppo apprezzata all'epoca..
    Brava Laura!

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    1. Grazie per l'apprezzamento! I giornali dell'epoca riescono a trasportarci indietro ancor più dei libri.

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