Quantunque
un po' troppo analitico, il libretto di Madama Butterfly
conserva quel profumo di grazia ingenua, di fervida speranza, di
passione inconscia che è nella novella di John L. Long. La scena ha
luogo nel Giappone, in una piccola casetta a pareti mobili, su la
collina di Nagasaki, tra i fiori. Il tenente della marina americana
F.B. Pinkerton, giungendo in quel porto con la cannoniera Lincoln
ch'egli comanda, ha il capriccio di prendervi una casetta ed una
moglie, contrattando questa e quella per 999 anni, ma con facoltà di
sciogliere i contratti alla fine di ogni mese. La legge al Giappone
consente ciò. Un sensale adatto, Goro, lo provvede dell'immobile...
mobile e della donna: Cio-Cio-San, una fanciulla di buona e già
ricca famiglia, di 15 anni, semplice come l'acqua e che diventerà
salda nei suoi affetti. Alla presenza del console americano,
Sharpless, del commissario imperiale e dei parenti di lei, Pinkerton
sposa dunque Cio-Cio-San, a cui dà il nomignolo di Butterfly
(farfalla); poi, annoiato dal cicaleccio dei parenti e delle
maledizioni di uno zio bonzo fanatico alla nipote perché osò
rinnegare gli Dei giapponesi (è la scena del nostro disegno a
colori), scaccia tutti, e rimane solo con la temporanea sua sposa a…
cantare il duetto d'amore col quale ha fine il primo atto.
Da
questo al secondo atto intercedono tre anni. Pinkerton è tornato con
la nave agli Stati Uniti, e Madama Butterfly è invece rimasta nella
casetta regalatale dal suo signore, tutta intenta ad allevare un
bimbo nato dalla sua facile unione con l'ufficiale, che non ha più
visto ma che ritornerà, che dovrà ritornare, perché glie lo dice
il cuore.
E
aspetta e aspetta, e intanto ella confida la sua fede alla servetta
Suzuki, la quale vuole invece esortarla a diffidare. Gli uomini, si
sa!...
Ma
Cio-Cio-San non s'inganna: ora il bimbo ha nome Dolore, ma presto,
all'arrivo del padre, si chiamerà Gioia.
Ecco
giungere il console americano con l'incarico di avvertire Cio-Cio-San
che Pinkerton, il quale ignora di essere padre, sta per tornare con
la sua nave a Nagasaki, ma sposo di una fanciulla americana:
Cio-Cio-San non fu che un capriccio ed egli l'ha dimenticata. Ma
Cio-Cio-San che, pare impossibile, si è innamorata davvero, non lo
lascia discorrere: Pinkerton sta per venire: lo sente. Infatti, egli
arriva con la sposa autentica, e come Madama Butterfly s'incontra con
la rivale, intuisce ogni cosa: ripone il bimbo su di una stuoia, lo
esorta a giocare e si taglia la gola: tanto già, il bimbo non potrà
più chiamarsi Gioia, perchè il suo bel sogno, il roseo romanzetto
della sua vita è finito.
Questo
il tenue dramma che innamorò il Puccini e che, rappresentato da
un'attrice intelligente, dovrebbe piacere; ma una commedia lirica è
cosa ben diversa, e ciò che diletta nel teatro di prosa può
sembrare senza interesse allorchè la favola venga necessariamente
allungata dalla musica ed il suo svolgimento attardato. Così toccò
appunto all'opera pucciniana.
Quantunque
il libretto, pur lento e frammentario, fosse piaciuto alla lettura,
musicato esso parve lungo, scialbo, monotono. Ed ecco una delle
cause, e non l'ultima, dell'insuccesso di Madama Butterfly
al teatro La Scala.
Perché
purtroppo – e lo scriviamo con vivo dolore – la nuova opera di
Giacomo Puccini non piacque, od almeno non ottenne quel largo e caldo
suffragio di approvazioni a cui il maestro ci aveva avvezzati coi
precedenti suoi lavori. Stavolta la consueta abilità, la gentilezza
e la simpatia che spirano dalla sua musica, le facili ma giudiziose
risorse d'invenzione, di adattamento e di trovata gli fecero difetto.
Certo
egli non fu mai un grande inventore; certo la sua fantasia non ha mai
spiegato ali poderose se nella seconda sua opera richiamò volentieri
melodie della prima, e nella terza delle due precedenti e nella
quarta delle tre che le precedettero; ma non anche egli si era
ripetuto con tanta persistente audacia come in Madama
Butterfly. Più che semplici
spunti, vi sono in essa frasi quasi intere di Villi
e di Bohème, vi sono
rirmi a riconoscere i quali non occorre alcuno sforzo di memoria. E
ciò deve specialmente addolorare. La ripetizione, in così tenue
bagaglio di opere quale è quello del Puccini non può non lasciar
pensare ad una limitazione d'ingegno, ad una trasparente povertà di
fantasia, ad un'inventiva circoscritta da angusti confini. Né la
tecnica è tale da far perdonare la poca originalità dell'idea.
In
Madama Buterfly è
bensì evidente l'assiduo sforzo per raggiungere forme musicali più
elette, più nobili, ma ciò, anziché giovare, ha nociuto al
Puccini, che pel gran pubblico è l'operista della semplicità, della
chiarezza, diremo quasi dell'evidenza. Ciò che in lui era più
caratteristico sembra scemato senza compenso di una maggiore
invenzione.
Nel
primo atto il dialogo musicale – un dialogo spezzato e
frammentario, in gran parte formato di tenuità, di piccoli
insignificanti particolari d'azione drammatica e musicale – non è
interrotto che da una fresca scena: l'arrivo di Cio-Cio-San insieme
alle amiche; ma la frase tematica, che pure è bella, ritorna poi
dieci, dodici, quattordici volte, sino alla sazietà. Lo stesso
duetto d'amore che chiude l'atto è imperniato su di essa, sì che
nell'ascoltare non produce più impressione. Qui è venuta meno al
maestro la consueta abilità. Infatti il duetto, che avrebbe potuto e
dovuto essere il successo dell'opera, lascia indifferenti, anche
troppo.
Nel
secondo atto vi sono qua e là pagine di qualche bellezza: il
duettino dei fiori, l'aria dell'attesa e quella del sonno del bimbo,
la prima parte dell'intermezzo orchestrale; ma sono oasi a troppa
distanza l'una dall'altra perchè chi ascolta non deve soggiacere ad
un senso di stanchezza.
Madama
Butterfly ha infatti stancato,
profondamente stancato. Il secondo atto dura un'ora e mezza: troppo
quando la lentezza dell'azione drammatica non sia compensata da
densità e continuità di pensiero musicale.
Terminato
il primo atto, il maestro Puccini fu chiamato due volte alla ribalta,
ma non senza contrasto; dopo l'ultimo qualche timido applauso venne
soffocato da un generale zittìo. Certo il pubblico, così largo in
passato di acclamazioni al Puccini, parve troppo severo.
Eccedè
allora nella lode come stavolta nel biasimo. E poiché gli eccessi si
correggono col tempo da soli, può darsi che Madama
Butterfly, alleggerita in talune
parti, possa viaggiare con qualche fortuna su le malfide scene dei
teatri lirici. Intanto a Milano l'opera non si ripeterà, avendo il
maestro ritirato lo spartito. Tale ritiro può sembrare un atto
impulsivo ab irato, ma
noi non sapremmo condannarlo: quando si è divertito e commosso per
tanto tempo il pubblico col meglio del proprio ingegno, si può, si
deve avere il diritto a quella rispettosa tolleranza, a quella
benevola indulgenza che la folla incomposta che invadeva La Scala non
ha avuto per l'autore di Madama Butterfly.
Ringrazio
l'amico collezionista Mirko Valtorta, per avermi concesso la lettura
cartacea di questo settimanale.
La Domenica del Corriere
è stato un popolare settimanale italiano fondato a Milano nel 1899 e
chiuso nel 1989. Fortemente voluto da Luigi Albertini, allora direttore
amministrativo del Corriere della Sera,apparve per la prima volta nelle
edicole l'8 gennaio 1899 come supplemento illustrato del Corriere della
Sera. Stampata in grande formato, aveva 12 pagine e veniva distribuita
gratis agli abbonati del Corriere, oppure si poteva acquistare in
edicola per 10 centesimi. Non fu concepito come periodico di
informazione, per non risultare un doppione del quotidiano. Venne
pensato come «settimanale degli italiani». Doveva scandire, come un
calendario, le loro giornate liete, le loro tragedie, i loro fatti
piccoli e grandi. La prima e ultima di copertina erano sempre disegnate.
Il Corriere si avvaleva di un giovane disegnatore, Achille Beltrame,
allora sconosciuto, a cui veniva affidato in ogni numero il compito di
rendere con la sua tavola il fatto più interessante della settimana.
Dopo la sua morte nel 1945, fu sostituito da Walter Molino che, come il
suo predecessore, firmò memorabili copertine.
Lettura consigliata
La Domenica del Corriere - 28 febbraio 1904
Consigliato sul web
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Una descrizione che quasi ci teletrasporta dentro a questa bellissima opera non troppo apprezzata all'epoca..
RispondiEliminaBrava Laura!
Grazie per l'apprezzamento! I giornali dell'epoca riescono a trasportarci indietro ancor più dei libri.
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