FRANCESCO HAYEZ
Il pittore del Romanticismo Italiano
Autoritratto a 57 anni - 1848 - Pinacoteca di Brera
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Francesco Hayez nacque a Venezia il 10 febbraio 1791. A causa delle modeste condizioni economiche della famiglia, fu affidato alla zia, moglie di Giovanni Binasco, amatore e mercante d'arte che lo introdusse allo studio del disegno. Nel 1805 riuscì a vincere il primo premio per il Disegno del Nudo all'Accademia di Venezia. Nel 1809, protetto da Leopoldo Cicognara, presidente dell'Accademia, vinse il Concorso per il Pensionato a Roma. In quella città iniziò a frequentare il rinomato Antonio Canova, che svolse un ruolo centrale nella sua formazione. Si recò per la prima volta a Milano solo nel 1818 e fu ospitato nello studio dell'artista Pelagio Palagi, con il quale aveva stretto un rapporto di amicizia e collaborazione già a Roma. Entrò in contatto con l'ambiente progressista milanese, conoscendo Alessandro Manzoni e Tommaso Grossi. Ricevette poi diverse commissioni. Fu nel 1820 che presentò all'Esposizione dell'Accademia di Brera l'opera del Pietro Rossi, consacrata come il manifesto del Romanticismo in pittura. Nel 1822 fu nominato supplente alla cattedra di pittura di Belle Arti di Brera. Nel 1828 disegnò i costumi per il gran ballo storico, in casa Batthyany, il 30 gennaio, partecipando travestito da Giulio Romano. Nel 1848 disegnò per la commissione del Governo provvisorio di Milano una medaglia a ricordo delle Cinque Giornate, che fu coniata solo dopo l'Unità d'Italia. Nel 1850 fu nominato professore ordinario di pittura all'Accademia di Brera. Nel 1859 presentò Il bacio all'Esposizione di Belle Arti di Brera, allestita a tre mesi dall'ingresso vittorioso in Milano di Vittorio Emanuele II e Napoleone III. Nel 1860 Massimo d'Azeglio gli affidò, in sua rappresentanza, la presidenza dell'Accademia. Nel 1861 decise di lasciare lo studio presso l'Accademia di Belle Arti di Brera, cui donò i propri "oggetti artistici", tra i quali una camera ottica, un teschio umano, alcuni gessi e parti di armatura. Morì l'11 febbraio 1882 a Milano e fu sepolto presso il Cimitero Monumentale. Giuseppe Verdi inviò un affettuoso biglietto di condoglianze indicando il doloroso pensiero di non potere vedere più il venerando vecchio, il grande artista, il perfetto onest'homo. Scrisse della certezza di come il pittore pianto e onorato, fosse restato nella memoria di tutti per le insigni opere d'arte e per le sue virtù.
CELEBRI OPERE MILANESI
L'opera segnò una svolta definitiva nella carriera di Hayez e rappresentò anche il suo esordio alle Esposizioni di Brera, dove il dipinto fu consacrato manifesto di quella rivoluzione romantica nelle arti figurative di cui lo stesso pittore fu riconosciuto iniziatore e protagonista. L'opera rappresenta l'esordio di Hayez nei grandi temi relativi alla storia della sua città d'origine. Il pittore confidava di aver ricevuto molti applausi. Con quelle lodi capì che aveva incarnato nel suo lavoro l'idea dominante di tal momento, che rendeva molto viva la polemica tra i letterati classici e romantici. Confessò che il cambiamento introdotto nella composizione veniva dal puro sentimento dell'arte, senza idea preconcetta. Si espresse la volontà di superare le convenzioni neoclassiche, confrontandosi con il naturalismo dei grandi pittori veneti del '400: una composizione semplificata, i personaggi quasi su un unico piano, la scena come una sacra conversazione, la materia pittorica densa.
Il dipinto era stato eseguito su commissione della famiglia Isimbardi per la parrocchiale dei Santi Pietro e Paolo di Muggiò. Sotto una luce cupa e plumbea, la Maddalena abbraccia la croce, piegandosi a lavare i piedi del Cristo. Lontano, contro una linea chiara, si staglia la città di Gerusalemme. La luce scura e opprimente è fedele ai Vangeli. La luce, la figura e i colori caldi della Maddalena rimandano alla pittura veneta e ai modelli di Tiziano cari all'artista. L'opera fa parte delle poche pitture religiose a cui l'artista si era dedicato.
L'opera era stata esposta all'annuale Esposizione di Brera del 1831 e aveva colpito per la naturalezza con cui Hayez era riuscito a riprendere le due fiere. Defendente Sacchi indicò come il pittore fosse stato capace di cogliere la natura e ridonarcela, ricreata, per così dire, dal genio del suo pennello. Hayez si presenta nel quadro in abiti da lavoro, identificandosi come leone in gabbia, in conflitto con la società che lo condiziona. E' uno degli autoritratti più originali dell'Ottocento.
L'ultimo abboccamento di Jacopo Foscari con la propria famiglia (I Due Foscari)
L'opera fu dipinta per l'imperatore Ferdinando I d'Austria. Nella vicenda del Doge Francesco, costretto a condannare e a punire con l'esilio il proprio figlio, ingiustamente accusato di tradimento, si rintracciava la personalità del sovrano, la solitudine dei potenti; un'identificazione del committente con il protagonista. Si poteva ben leggere anche l'identità di fuoriusciti italiani, beneficiati dall'amnistia dell'imperatore, che richiamava a sé i suoi sudditi con nuovo spirito di riconciliazione. Tratta dalla popolare tragedia di George Byron che aveva ispirato anche il melodramma di Giuseppe Verdi, l'opera riscosse molto successo: gesti ed espressioni raggiunsero il culmine emotivo nelle figure. Spicca anche il paesaggio veneziano caro all'artista.
Ritratto di Alessandro Manzoni
L'opera fu richiesta da Teresa Borri Stampa, seconda moglie di Alessandro Manzoni. Fu indicato che il letterato concedeva ritratti per la famiglia o per i conoscenti, ma non per il pubblico. Per rendere la quotidianità dello scrittore, Hayez lo ritrasse seduto in poltrona, così come probabilmente riceveva la sera gli amici nel salotto della sua casa milanese. Si nota come Manzoni tiene in mano la sua tabacchiera, circolare e unica. Anche la cornice è originale dell'epoca. Hayez accompagnò più volte illustri personaggi a vedere il quadro. Realizzò una replica nel 1874 per l'Accademia, oggi conservata presso la Galleria d'Arte Moderna di Milano.
L'opera rientra nel genere delle mezze figure, ispirate alla tradizione classicista emiliana. Presa da un sentimento d'amore, sta in posa abbandonata; tiene alquanto china la testa, per meglio nutrire il pensiero che la domina, non curante di tutto quello che le sta intorno, e gli abiti stessi che le cadono da una spalla. L'immagine ha un'inquietante carica naturalistica derivata dalla ripresa dal vero del modello e dei fiori. Questi sono uno straordinario brano di natura morta. Il soggetto fu più volte ripreso, ebbe molta popolarità, derivata dall'impatto emotivo suscitato sul pubblico e la riconoscenza del tormento esistenziale contemporaneo dell'epoca.
Il fascino del dipinto sta ancora nella fusione tra ritratto e natura morta. Per evitare le lunghe e faticose ore di posa, Hayez aveva utilizzato delle fotografie. Il volto della bimba rimane goffo e smarrito per definire come potesse essere difficile posare per lungo tempo, per una bambina di soli 4 anni. Spicca il naturalismo non solo nella figura umana, bensì nei fiori ritratti alla fiamminga e richiamanti il maggior rappresentante milanese del genere e del tempo, Luigi Scrosati.
L'opera fu commissionata dal conte Alfonso Maria Visconti subito dopo la liberazione di Milano dagli austriaci. Il motivo dell'immensa fortuna popolare del dipinto fu la capacità nel rappresentare un tema universale: il momento più intenso e poetico della relazione tra due persone che si amano, riuscendo a rendere immediato e convincente il fascino e il mistero ad esso collegato. La critica lesse anche il libertinaggio di Hayez. Il Bacio evidenzia però anche un forte significato politico, un messaggio di ottimismo alla giovane Nazione che, appena uscita dalle lotte per l'indipendenza, doveva rigenerarsi. I colori degli abiti dei due amanti rimandano fortemente alle bandiere italiana e francese. Ma si manifestavano pure delusioni e nuove incertezze, sia per i territori rimasti sotto dominio austriaco, sia sulle nuove difficoltà della Nazione. Esistono, in collezione privata, altre tre versioni del Bacio, dotate di differenze stilistiche.
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