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lunedì 18 luglio 2011

Storia dei Longobardi - Paolo Diacono

Storia dei Longobardi - Paolo Diacono

I Longobardi, popolo di origine scandinava, costituiscono per l'Italia la prima esperienza di un regno germanico insediatosi senza nessun accordo con l'Impero Romano d'Oriente. Odoacre e Teodorico, per esempio, erano arrivati come parti dell'esercito romano o con il beneplacito dell'imperatore, cercando di rendere meno evidente la frattura di ordine storico; mantenendo strutture e apparenze dello stato romano stesso. I Longobardi invasero l'Italia nel 568 approfittando delle continue lotte tra Goti e Bizantini. E' nella Storia dei Longobardi che possiamo trovare la vicenda della Regina Teodolinda.

stampa paolo diaconoPAOLO DIACONO
Paolo di Warnefrido nacque a Cividale, poco dopo il 720, da una famiglia longobarda stanziata nel Friuli (il padre era Warnefrit). Studiò a Pavia nella scuola di grammatica e al termine degli studi raggiunse una notevole padronanza del latino, che gli permise di insegnarlo. Presso la corte pavese di Ratchis, incominciò a dare più spazio a studi sacri. Decise di farsi monaco nel monastero di Montecassino. Dopo la caduta del Regno Longobardo nel 774, la città di Benevento rimase indipendente diventando rifugio per i Longobardi del nord e per le tradizioni della popolazione. Rotgaudo duca del Friuli, aveva però organizzato una disperata ribellione contro i Franchi. La battaglia decisiva fu combattuta sul Brenta nel 776 e vi partecipò anche Arechi, fratello di Paolo. Se i capi della sollevazione perirono, Arechi fu invece fatto prigioniero e portato in Francia con la confisca di tutti i suoi beni.
Nel 782 Paolo decise di rivolgersi al re dei Franchi per chiedere la liberazione del proprio fratello. Forse presentato al re da Pietro da Pisa, maestro di grammatica a corte, Paolo fu favorito dalla circostanza che Carlo Magno desiderava avere attorno alla sua corte gli uomini più colti del tempo. Con loro voleva avviare delle riforme necessarie non solo alla vita culturale–spirituale, ma al funzionamento dello stesso regno cresciuto e composto da popoli e stati diversi, riuniti con forza intorno a un centro di potere. 
Paolo si presentò con un carme dove in maniera umile ma dignitosa, chiedeva grazia per il fratello Arechi. Il re accolse la sua richiesta e lo volle con sé poiché utile collaboratore per i suoi progetti. Rimase in Francia per tre anni, dando tutto l'aiuto richiesto e sviluppando un rapporto di rispetto e amicizia con Carlo Magno. Scrisse ancora per il re diversi epitaffi, organizzò forse gli insegnamenti del latino, viaggiò, ascoltò e conobbe paesi e uomini diversi. Incominciò ad abbozzare una sintesi storica sulla fine del regno longobardo e fu proprio al suo ritorno in monastero nel 786ca che scrisse l'Historia Langobardorum. Scritta e pensata secondo il proprio gusto e le proprie ragioni, non anti-franca e senza accendere nuove lotte, l'obiettivo era quello di salvaguardare l'esperienza della storia longobarda e di conservare i Longobardi a sé stessi.
Il rifiuto dei Longobardi da parte dei papi del suo tempo determinò in Paolo il bisogno essenziale di difendere l'uguale validità di un'origine diversa e di affermare l'uguale cura e amore di Dio verso di loro → una tradizione originaria, che si modificò e si adeguò al nuovo, culminando nell'affermazione di un proprio modo di vivere e di creazione storica, fino a quando si manteneva il favore di Dio. Si affermava che i Longobardi rimanessero padroni della propria storia e che i loro torti non fossero di fronte agli uomini, ma a Dio e a sé stessi. Ripropose la loro storia nella luce più bella, con una coscienza positiva di sé e della propria eredità. Paolo morì, ormai vecchio, negli ultimi anni delI'VIII secolo; il suo epitaffio fu scritto da Ilderico abate di Montecassino nell'834 e autore di un'Ars grammatica.

HISTORIA LANGOBARDORUM
 

Dal punto di vista storico è un'opera importante e molto studiata, dato che è una delle pochissime fonti in cui si affronta (peraltro spesso in maniera quasi sbrigativa) il passaggio traumatico in Italia dalla civiltà romana a quella barbarica. La Historia è scritta in un latino di tipo monastico, si basa su opere precedenti di vari scrittori ed è un misto di prosa e poesia. Le fonti principali furono l'anonima Origo gentis Langobardorum, la perduta ed omonima Historia di Secondo di Non, i perduti Annali di Benevento ed un uso libero degli scritti di Beda il Venerabile, Gregorio di Tours e Isidoro di Siviglia.
La narrazione della storia si può suddividere in due fasi: la prima lineare, descrive la fase del popolo prima dell'entrata in Italia, un unico indistinto popolo che si muove per territori; il secondo descrive le gesta di tanti attori che si radicano in territori ben precisi e si fondono con i luoghi e le genti. Il tutto legato ad un filo narrante scandito dalla successione dei Re. Una particolare attenzione è data alla chiesa italiana di quel periodo e anche a personaggi che non si intrecciarono con la storia dei Longobardi in Italia.
È suddivisa in sei libri e tratta della storia del Popolo Longobardo dalle origini al suo apice: la morte del re Liutprando nel 744.



Primo libro
Il libro descrive le cause delle migrazioni dei Longobardi con leggende legate alle origini del popolo, le gesta dei primi re fino alla vittoria di Alboino sui Gepidi e la partenza per l'Italia. Narra anche di San Benedetto.

1. Allo stesso modo mosse dall'isola chiamata Scandinavia pure il popolo dei Winnili, cioè dei Longobardi, che poi regnò felicemente in Italia, e che trae origine dai popoli germanici.

7. Usciti dalla Scandinavia, i Winnili, con i loro capi Ibor e Aio, giunsero nella regione chiamata Scoringa e lì si fermarono per alcuni anni. In quel tempo i Vandali opprimevano con la guerra tutti i territori vicini e inviarono messi ai Winnili perché pagassero tributi ai Vandali o si preparassero a combattere. Ibor e Aio, d'accordo con la madre Gambara, decisero che era meglio difendere la libertà con le armi, piuttosto che infangarla con il pagamento dei tributi. Fecero quindi sapere ai Vandali che avrebbero combattuto, ma non servito. Erano allora i Winnili tutti nel fiore della giovinezza, ma pochissimi di numero, dal momento che erano solo la terza parte della popolazione di un'unica isola, e non particolarmente grande.

8. Una favola ridicola: i Vandali, recatisi da Godan, gli avrebbero chiesto la vittoria sui Winnili; egli avrebbe risposto che avrebbe dato la vittoria a quelli che per primi avesse visto al sorgere del sole. Si dice che allora Gambara andasse da Frea, la moglie di Godan, chiedendo la vittoria per i Winnili, e Frea le suggerisse che le donne dei Winnili si sistemassero i capelli sciolti intorno al viso così da farli sembrare barbe e appena giorno si presentassero insieme agli uomini e si disponessero, per farsi vedere anch'esse da Godan, da quella parte dove egli era solito guardare dalla finestra volta a oriente. Così si dice che fosse fatto. E Godan, al sorgere del sole, vedendole, avrebbe detto: “Chi sono questi lunghe-barbe?”. Allora Frea gli avrebbe suggerito di donare la vittoria a quelli cui aveva attribuito il nome. E così Godan avrebbe concesso la vittoria ai Winnili.

9. È certo però che i Longobardi furono chiamati così in un secondo tempo per la lunghezza della barba mai toccata dal rasoio. Nella loro lingua lang significa lunga e bart barba.
27. Alboino, uomo adatto alla guerra e di grande valore di energia. Alla morte di Audoino fu assunto per volontà di tutti al governo della patria come decimo re. Morì intanto Turisindo re dei Gepidi e gli successe nel regno Cunimondo, il quale desideroso di vendicare le vecchie offese patite dai Gepidi, ruppe il patto con i Longobardi e preferì la guerra alla pace. Alboino strinse allora un'alleanza perpetua con gli Avari, che prima erano detti Unni, e partì per la guerra voluta dai Gepidi. I Longobardi riuscirono vincitori. In quella battaglia Alboino uccise Cunimondo, gli tagliò la testa, e ne fece una coppa per bere. Insieme a una gran folla di gente, condusse prigioniera anche la figlia del re Rosmunda e, dal momento che Clotsuinda era morta, la prese in moglie.

Secondo libro
I Longobardi prendono il posto dei Goti in Italia, temporaneamente alleati dei Bizantini. Una descrizione dell'Italia, la conquista di Pavia da parte di Alboino e il suo assassinio organizzato dalla moglie Rosmunda. Il breve regno di Clefi e il decennale Periodo dei Duchi o "dell'anarchia".

1. Poiché la fama delle frequenti vittorie dei Longobardi risuonava ovunque, Narsete, cartulario imperiale, il quale allora era a capo dell'Italia e preparava la guerra contro il re dei Goti Totila, mandò degli ambasciatori ad Alboino perché gli prestasse aiuto per combattere i Goti. Alboino inviò una scelta schiera dei suoi ad aiutare i Romani contro i Goti. Ritornarono vincitori alle proprie case e per tutto il tempo che possedettero la Pannonia, i Longobardi vennero in aiuto allo stato Romano contro i suoi nemici.

9. Dopo aver varcato senza nessun ostacolo i confini della Venezia, che è la prima delle province d'Italia, ed essere entrato nel territorio del castello di Cividale, cominciò a considerare a chi fosse meglio affidare la prima provincia che aveva conquistato. Decise di mettere a capo Gisulfo suo scudiero.

25. Alboino, entrato in Liguria, fece il suo ingresso a Milano il 3 settembre 569. L'arcivescovo Onorato abbandonò Milano e fuggì a Genova.

28. Il re, dopo aver regnato in Italia per tre anni e sei mesi, fu ucciso per il tradimento della moglie. Mentre sedeva a banchetto in Verona più allegro di quanto sarebbe stato opportuno, ordinò di dare da bere del vino alla regina nella coppa che egli aveva fatto con la testa di Cunimondo, suo suocero, e la invitò a bere lietamente insieme a suo padre. Vedendo questo, Rosmunda sentì nel suo cuore un dolore profondo e, non riuscendo a reprimerlo, immediatamente si infiammò nel proposito di uccidere il marito per vendicare la morte del padre; e subito si consigliò con Helmechis, armigero del re e suo fratello, sul modo di ucciderlo. Questi convinse la regina a far partecipare alla congiura Peredeo, che era un uomo di grandissima forza. Peredeo non volle acconsentire a un simile delitto e Rosmunda di notte, si sostituì nel letto a una sua cameriera ingannandolo. Egli capì il male e l'inganno e fu costretto a dare assenso all'uccisione del re. Dopo pranzo Alboino si mise a dormire; Rosmunda legò forte la sua spada alla testata del letto, in modo che non si potesse staccare, poi fece entrare Helmechis. Alboino comprese il pericolo, ma non riuscì a difendersi e morì. Fu sepolto dai Longobardi con immenso pianto e lamento.

31. I Longobardi, tutti di comune accordo elessero re in Ticino Clefi, uomo nobilissimo della loro nazione. Questi uccise o cacciò dall'Italia molti potenti Romani. Tenne il regno per un anno e sei mesi.

32. Dopo la morte di Clefi, i Longobardi rimasero per dieci anni senza re e stettero sotto il comando dei duchi. Ogni duca aveva la sua città.

Terzo libro
La rinascita del regno dei Longobardi attraverso Autari, il matrimonio con Teodolinda e la forte presenza del papa Gregorio Magno.

16. Intanto i Longobardi, dopo che per dieci anni erano stati sotto il potere dei duchi, alla fine, per decisione comune, eleggono come proprio re Autari (584), figlio del già ricordato principe Clefi, e per qualificare la sua dignità gli attribuiscono anche l'appellativo di Flavio: prenome che fu poi usato felicemente da tutti i successivi re longobardi. Ai suoi giorni, al fine di restaurare il regno, ogni duca cedette per gli usi regi la metà di tutti i propri beni, per costituire un patrimonio con cui il re, il suo seguito e coloro che si dedicavano al suo servizio nelle diverse funzioni potessero mantenersi. Invece le popolazioni sottomesse furono suddivise tra gli ospiti longobardi. C'era però questo di meraviglioso nel regno dei Longobardi: non c'erano violenze, non si tramavano insidie; nessuno opprimeva gli altri ingiustamente, nessuno depredava; non c'erano furti, non c'erano rapine; ognuno andava dove voleva, sicuro e senza alcun timore.
 
30. Dopo questi avvenimenti il re Flavio Autari mandò messi nella terra dei Bavari per chiedere in sposa una figlia del loro re Garibald. Egli li accolse con favore e promise che avrebbe dato ad Autari sua figlia Teodelinda. Quando gli ambasciatori al ritorno gli riferirono questa risposta, Autari, desiderando di vedere con i propri occhi la sua sposa, prese con sé alcuni Longobardi, pochi ma scelti, e facendosi accompagnare, come capo del gruppo, da un uomo a lui fedelissimo, si diresse senza perdere tempo in Baviera. Quando furono introdotti, come si usa con le ambascerie, alla presenza del re Garibald, e quando quello che era venuto con Autari come anziano ebbe pronunciato, dopo i saluti, le frasi d'uso, Autari che non era conosciuto di quella gente, si avvicinò al re e gli disse: “ Il mio signore, il re Autari, ha mandato me con l'incarico preciso di vedere vostra figlia, la sua promessa sposa, che sarà la nostra signora, perché possa meglio descrivere al mio signore quale sia il suo aspetto”. E quando il re, sentita la richiesta, ebbe ordinato alla figlia di venire e Autari l'ebbe contemplata con silenziosa approvazione – era infatti bellissima – e se ne fu completamente compiaciuto, disse al re: “ Poiché tale vediamo la persona di vostra figlia, che giustamente desideriamo divenga la nostra regina, vorremmo, se piace alla vostra potestà, ricevere dalla sua mano una coppa di vino, come poi ella farà presso di noi”. E quando il re ebbe dato il suo consenso, la fanciulla, presa una coppa di vino, offrì da bere per primo a colui che sembrava il capo. Quando poi l'ebbe porta ad Autari, che non sapeva fosse il suo sposo, egli, dopo aver bevuto, nel rendere la coppa, le sfiorò – senza che nessuno se ne accorgesse – la mano con un dito e si portò poi la destra dalla fronte sul naso e sulle labbra. Teodelinda, piena di rossore, raccontò il fatto alla sua nutrice ed ella le disse: “Se questi non fosse il re e tuo sposo, non oserebbe assolutamente toccarti. Ma per ora non diciamo niente, perché tuo padre non lo sappia. In effetti è davvero persona degna di tenere un regno ed esserti sposo”. Autari era allora nel fiore della giovinezza, di alta statura, di lunghi e biondissimi capelli, molto bello d'aspetto. Subito dopo, preso commiato dal re, si avviano per tornare in patria e si allontanano velocemente dal territorio dei Norici – dove vive il popolo dei Bavari. Autari, arrivato ormai vicino ai confini dell'Italia, mentre aveva ancora con sé i Bavari che lo scortavano, si rizzò quanto più poté sul cavallo che montava e con tutta la forza scagliò la piccola scure che aveva in mano contro l'albero più vicino e ve la lasciò infissa, dicendo: “ Così ferisce Autari”. E quando ebbe detto questo, allora i Bavari che lo accompagnavano capirono che era lui il re Autari. Così, quando, qualche tempo dopo, il regno di Garibald fu turbato da un'incursione dei Franchi, Teodelinda, sua figlia, fuggì in Italia con il fratello Gundoald e mandò ad annunciare il suo arrivo ad Autari, suo sposo. Egli le venne subito incontro con grande seguito nel campo di Sardi, sopra Verona, per celebrare le nozze, e la prese in moglie, tra la gioia di tutti, il giorno quindici maggio (589). Era allora presente, tra gli altri duchi longobardi, Agilulfo, duca della città di Torino. Accadde che, turbatosi il tempo, un certo legno che si trovava nel recinto del re venne colpito, tra grande fragori di tuoni, dalla violenza di un fulmine; Agilulfo aveva allora tra i suoi servi un indovino, che, per arte diabolica, comprendeva quali avvenimenti futuri preannunciassero gli scoppi di fulmine. Questi in segreto, mentre Agilulfo stava appartato per necessità naturali, gli disse: “Questa donna, che adesso ha sposato il nostro re, tra non molto sarà tua moglie”. Agilulfo, sentendolo, lo minacciò di tagliargli la testa se diceva una parola di più. E quello: “ Io posso ben essere ucciso, ma è certo che questa donna è venuta nel nostro paese proprio per unirsi in matrimonio con te”. Cosa che poi avvenne. In questo stesso tempo, fu ucciso presso Verona – non si sa per quale ragione – Ansul, parente del re Autari.

stampa regina teodolinda

35. Il re Autari, dopo aver regnato per sei anni, morì a Ticino il giorno cinque di settembre (590) si dice per veleno. Subito fu mandata dai Longobardi un'ambasceria al re dei Franchi Childeperto, per annunciargli la morte di Autari e chiedere la pace. Quanto alla regina Teodelinda, poiché piaceva molto ai Longobardi, essi le permisero di rimanere nella dignità regia, invitandola a scegliersi tra tutti i Longobardi lo sposo che volesse: ovviamente che fosse tale da poter reggere il regno a buon fine. Ella si consigliò con i saggi e scelse come proprio marito e re per la gente longobarda Agilulfo, duca dei Torinesi. Era questi un un uomo forte e valoroso e sia di corpo che di animo adatto a governare il regno. Subito la regina gli mandò a dire di presentarsi a lei, ed ella stessa gli andò incontro nella cittadella di Lomello. Quando egli fu giunto, la regina, scambiata qualche parola, si fece servire del vino e, dopo aver bevuto per prima, offrì il resto da bere ad Agilulfo. Presa la coppa, egli baciò rispettosamente la mano alla regina, ma lei, sorridendo mentre arrossiva, disse che non doveva baciarle la mano chi doveva baciarla sulla bocca. E così, innalzandolo al proprio bacio, gli annunciò le sue nozze e la dignità regia. Le nozze vengono celebrate con grande festa; Agilulfo, che era un congiunto del re Autari, assunse la dignità regia già all'inizio del mese di novembre. Fu però elevato re da tutti i Longobardi riuniti più tardi, a Milano, nel mese di maggio.

Quarto libro
Da Agilulfo a Grimoaldo: ottanta anni di storia longobarda passando attraverso il regno di Rotari.

8. Su suggerimento soprattutto della regina Teodelinda sua moglie, che era stata spesso esortata dal beato papa Gregorio nelle sue lettere, Agilulfo concluse una pace fermissima con lo stesso santo papa Gregorio e con i Romani. Il venerabile pontefice scrisse alla regina, per ringraziarla, questa lettera:

9. “Gregorio a Teodelinda, regina dei Longobardi. Abbiamo appreso dall'abate Probo, nostro figlio, che l'eccellenza vostra si è adoperata, come suol fare, con grande zelo e benevolenza per la conclusione della pace. Né c'era da aspettarsi altro dalla vostra cristianità, se non che mostraste a tutti il vostro impegno nella causa della pace e la vostra bontà. Perciò ringraziamo Dio onnipotente che regge nella Sua pietà il vostro cuore in modo tale che, come vi ha dato la retta fede, così vi conceda di operare sempre ciò che a Lui piace. Non credere, eccellentissima figlia, di aver acquistato piccolo merito per il sangue che da entrambe le parti sarebbe stato versato. Per questo, rendendo grazie alla vostra buona volontà, preghiamo la misericordia di nostro Signore perché vi compensi delle vostre buone azioni ora e in futuro, nel corpo e nell'anima. Salutandovi inoltre con paterno affetto, vi esortiamo affinché vi adoperiate presso il vostro eccellentissimo consorte perché non rinunci all'alleanza della repubblica cristiana. Come crediamo che anche voi sappiate, è cosa in molti modi utile se egli vorrà volgersi alla sua amicizia. Voi abbiate sempre cura di tutto quanto può giovare alla buona intesa tra le parti e, ogni volta che si offra un'occasione di ben meritare, premuratevi di raccomandare maggiormente davanti agli occhi di Dio onnipotente le vostre buone opere”. Lo stesso papa inviò una lettera anche al re Agilulfo: “Gregorio ad Agilulfo, re dei Longobardi. Rendiamo grazie all'eccellenza vostra perché, ascoltando la nostra richiesta, avete disposto, secondo la fiducia che avevamo in voi, la pace, che sarà di giovamento ad entrambe le parti. Lodiamo perciò caldamente la prudenza e la bontà dell'eccellenza vostra, perché amando la pace mostrate di amare Dio, che ne è l'autore. Che se, non sia mai, la pace non fosse stata conclusa, cos'altro si sarebbe fatto se non spargere, con peccato e danno di tutte e due le parti, il sangue dei poveri contadini, il cui lavoro è utile ad entrambe? Affinché possiamo sentire il beneficio di questa stessa pace, così come è stata voluta da voi, vi preghiamo, salutandovi con paterno amore, che, ogni volta se ne dia il caso, ordiniate con vostre lettere ai vostri duchi ovunque insediati, e soprattutto a quelli che si trovano in queste zone, che custodiscano con pura fede questa pace, come è stato promesso, e non cerchino le occasioni da cui possa nascere qualche contesa o malanimo, di modo che possiamo rendere grazie alla vostra volontà. Abbiamo accolto con il dovuto affetto, come uomini vostri, i latori della presente lettera, poiché era giusto che dovessimo ricevere e congedare con amore uomini saggi, venuti ad annunciare la pace conclusa con il favore di Dio”.

21. In quel tempo la regina Teodelinda fece consacrare la basilica del beato Giovanni Battista, che aveva fatto costruire a Monza [ per sé, per il suo consorte, i figli e le figlie e per tutti i Longobardi d'Italia, affinché lo stesso santo Giovanni interceda per tutti i Longobardi presso il Signore, ed essi fecero voto, in pieno accordo, tutti i grandi Longobardi, insieme al loro re e alla regina Teodelinda, e dissero: “Se San Giovanni intercede per noi presso il nostro Signore Gesù Cristo, noi tutti unanimemente promettiamo a lui che ogni anno, nel giorno della sua natività, cioè il 24 di giugno, invieremo al suo tempio onorevoli offerte dalle nostre sostanze, affinché per la sua intercessione otteniamo l'aiuto del nostro Signore Gesù Cristo, tanto in guerra, quanto in ogni luogo dove andremo. E così tutti invocandolo, rimanevano illesi e furono vincitori sopra ogni loro avversario.], località a dodici miglia da Milano, e la ornò con molti oggetti d'oro e d'argento e la dotò generosamente di terre [sottopose molte famiglie e possedimenti a questa chiesa, in onore del santo Giovanni Battista. “La gloriosissima regina Teodelinda insieme a suo figlio, il re Adaloaldo, offre a San Giovanni, suo patrono, da quanto possiede per dono di Dio e dai suoi beni dotali questa carta di donazione, fatta scrivere alla presenza dei suoi. Se qualcuno in qualsiasi tempo altererà questa donazione fatta dalla sua volontà, sia dannato nel giorno del giudizio insieme a Giuda il traditore.” La disposizione diceva così: “Nessuno, in nessun modo, si deve intromettere nei beni di San Giovanni, salvo i sacerdoti, che servono lì giorno e notte, così come i servi e le serve, soggetti della chiesa, devono vivere in comune.” ].Qui anche Teodorico, un tempo re dei Goti, aveva costruito un palazzo, perché la zona, vicina alle Alpi, è temperata d'estate e salubre.

22. Sempre a Monza la regina si fece costruire un palazzo, in cui fece dipingere anche alcuni soggetti tratti dalle gesta dei Longobardi. In queste pitture si vede chiaramente come a quel tempo i Longobardi usavano tagliarsi i capelli e quali erano i loro vestiti e l'abbigliamento. E cioè si radevano il collo fino alla nuca, mentre davanti portavano i capelli lunghi fino all'altezza della bocca, divisi con una riga a metà della fronte. I loro abiti erano larghi e fatti soprattutto di lino, come usano gli Anglosassoni, ornati con ampie balze di vario colore. Le loro calzature erano semiaperte fino all'estremità dell'alluce e strette da lacci di cuoio incrociati. In un secondo tempo poi cominciarono a usare dei calzoni, sopra i quali, andando a cavallo, infilavano gambali di panno. Ma questo uso l'avevano ripreso dai Romani.

25. Nel palazzo di Monza nacque al re Agilulfo un figlio dalla regina Teodelinda, e fu chiamato Adaloaldo. (603).

27. Fu battezzato il piccolo Adaloaldo, figlio del re Agilulfo, nella chiesa di San Giovanni di Monza, e fu levato dal fonte dal servo di Cristo Secondo di Trento.

30. L'estate seguente (604), nel mese di luglio, Adaloaldo fu innalzato re dei Longobardi nel circo di Milano, alla presenza del padre, il re Agilulfo, e degli ambasciatori del re dei Franchi Teudeperto; al bambino regale venne promessa in sposa la figlia dello stesso Teudeperto e con i Franchi fu stipulata la pace perpetua.

41. Dopo aver regnato per 25 anni, il re Agilulfo, detto anche Ago, giunse alla fine dei suoi giorni e lasciò sul trono il figlio Adaloaldo, ancora ragazzo, insieme alla madre Teodelinda (615-16). Sotto di loro le chiese furono restaurate e molte donazioni furono fatte ai luoghi venerabili. Ma quando Adaloaldo, dopo aver regnato dieci anni con la madre, ebbe la ragione sconvolta e impazzì, venne rovesciato dal trono e i Longobardi gli sostituirono Arioaldo. Delle azioni di questo re niente è giunto alla nostra conoscenza. Intorno a questi anni venne in Italia il beato Colombano, Scoto di nascita, che aveva già costruito in Gallia un monastero nella località chiamata Luxeuil: fu accolto benevolmente dal re dei Longobardi ed edificò nelle Alpi Cozie il cenobio detto di Bobbio, distante 40 miglia dalla città di Ticino. Ad esso principi e Longobardi elargirono molti possedimenti e vi si formò una grande congregazione di monaci. (Colombano era in realtà arrivato all'epoca di Teodelinda e Agilulfo).

42. Dopo aver regnato sui Longobardi per dodici anni, Arioaldo fu sottratto a questa luce; assunse il regno Rotari. Fu uomo di grande forza e seguì il sentiero della giustizia, ma non tenne la retta via nella fede cristiana e si macchiò della perfidia dell'eresia ariana. Gli Ariani sostengono, a loro rovina, che il Figlio è minore del Padre e che lo Spirito Santo è minore del Padre e del Figlio; invece noi cattolici professiamo che il Padre e il Figlio e lo Spirito Santo sono un unico e vero Dio in tre Persone, con uguale potenza e stessa gloria. Il re Rotari redasse in una serie di articoli scritti le leggi dei Longobardi, che si conservavano solo attraverso la memoria e l'uso, e ordinò di dare al codice il nome di Editto. Era oramai il settantasettesimo anno da quando i Longobardi erano venuti in Italia, come attesta il re stesso nel prologo del suo Editto.

47. Dopo aver retto il regno per sedici anni e quattro mesi il re Rotari morì, lasciando il regno dei Longobardi a suo figlio Rodoaldo. Fu sepolto presso la basilica di San Giovanni Battista: qualche tempo dopo un uomo, acceso da empia cupidigia, aprì di notte il suo sepolcro e asportò tutti gli ornamenti che trovò sul suo corpo. Ma il beato Giovanni gli apparve in visione e, incutendogli un enorme terrore, gli disse: “Perché hai osato toccare il corpo di quest'uomo? Anche se non credeva in maniera giusta, tuttavia mi si era affidato. Poiché sei stato così temerario, mai più potrai entrare nella mia basilica”. E così infatti fu: ogni volta che quello provò a entrare nella chiesa del beato Giovanni, subito, come se fosse colpito alla gola da un pugile fortissimo, crollava spinto all'improvviso all'indietro. Rodoaldo prese in matrimonio la figlia di Agilulfo e di Teodelinda, Gundiperga. Questa regina, sull'esempio di quanto aveva fatto sua madre a Monza, costruì una basilica in onore di San Giovanni Battista nella città di Ticino e la adornò in maniera mirabile con oro, argento e paramenti, dotandola riccamente di tutto; lì fu sepolto il suo corpo.

Quinto libro
Da Grimoaldo a Cuniperto.

6. L'imperatore Costantino, che era chiamato anche Costante, volendo strappare l'Italia dalle mani dei Longobardi, partì da Costantinopoli e, viaggiando lungo le coste, giunse ad Atene: di lì, passato il mare, sbarcò a Taranto. Prima però si recò da un eremita, che si diceva avesse spirito profetico, ansioso di sapere se avesse potuto vincere e assoggettare la gente dei Longobardi, che viveva in Italia. Il servo di Dio gli chiese una notte di tempo per pregare il Signore a tal fine [per supplicare per questo il Signore Dio; ed egli si comportò fedelmente e, effondendosi con grande zelo in preghiera al Signore, diceva: “ Signore Gesù Cristo, re dei re, vera luce, Tu che mandasti ai tuoi Apostoli lo Spirito Santo sotto forma di fiamma, invia lo Spirito Santo della Tua consolazione nella mia bocca, così che possa dare un consiglio giusto a questi uomini, che sono venuti da me nel Tuo nome”. Ed ecco che gli apparvero tre figure spirituali: una era l'Arcangelo Michele, la seconda Giovanni Battista, la terza l'Apostolo Pietro. Allora una di loro disse all'eremita: “Dì all'imperatore Costantino, che ha disposto nel suo cuore di fare questa cosa: “Non è ancora volontà del Signore. La gente dei Longobardi, che vive in Italia, non può per adesso essere vinta da nessuno, perché una regina venuta da un altro paese ha costruito nel loro territorio una basilica in onore di Dio e di San Giovanni Battista e l'ha ornata di beni in maniera degna; servi e serve e ogni altra cosa le sono soggetti e i sacerdoti servono fedelmente il Signore in quel tempio, e perciò San Giovanni intercede di continuo per la gente longobarda. E questa gente, con umiltà e ogni devozione, ogni anno, in onore del Signore e di San Giovanni Battista, nel giorno natale di questi, fa con le proprie sostanze delle offerte a questo tempio, che è posto nella località di Monza. In verità però ti diremo nel nome del Signore: verrà un tempo e un giorno, in cui tutti gli abitanti di quella terra non avranno più rispetto per quel tempio e gli strapperanno tutte le sue sostanze e per i loro beni tormenteranno spesso i servi e le serve, che sono soggetti alla Chiesa, e i sacerdoti, che servono lì il Signore, saranno notte e giorno nell'inquietudine e saranno spogliati di ciò che è loro. Perciò la loro vita sarà condotta nell'amarezza. Quando queste cose cominceranno e voi le vedrete accadere, allora certamente quella gente perirà, con tutto quello che appartiene loro e saranno oggetto di disprezzo per tutte le genti che sono intorno a loro”. E disse loro l'eremita: “Prego la vostra clemenza, santi: se torneranno alla loro primitiva promessa, non potranno trovare indulgenza?” Ed essi gli dissero: “Tu sai che la Verità ha detto: “Tornate a me e io tornerò a voi”. E in quel momento sparirono. Venuto il giorno, l'eremita rivelò con scrupolo e ordine all'imperatore Costantino tutto quello che è scritto qui sopra. Allora l'imperatore accolse con letizia le sue parole.] e la mattina dopo così rispose all'imperatore: “Il popolo dei Longobardi non può per ora essere vinto da nessuno, perché una regina, venuta da un altro paese, ha costruito nel loro territorio una basilica in onore del beato Giovanni Battista e per questo il beato Giovanni intercede di continuo per i Longobardi. Ma verrà un giorno in cui questo tempio non sarà più rispettato e allora quella gente perirà”.

7. Costante augusto arrivò a Taranto, partì di lì e invase il territorio beneventano, prendendo quasi tutte le città dei Longobardi per le quali passò. Con tutto il suo esercito circondò Benevento e cominciò ad attaccarla con violenza. Reggeva allora il ducato Romualdo, il figlio ancora giovinetto di Grimoaldo. Appena seppe dell'arrivo dell'imperatore, egli inviò subito il suo precettore da suo padre, pregandolo di venire al più presto e portare aiuto potente a suo figlio e ai Beneventani. A queste notizie, il re Grimolado si mise subito in marcia con un esercito. Quando Grimoaldo fu vicino, mandò al figlio il suo precettore, per annunciargli il suo arrivo. Questi fu però catturato e portato dall'imperatore. Egli annunciò a Costante che il re stava arrivando. Subito, l'imperatore, atterrito, si consigliò con i suoi per far pace con Romualdo, in modo da poter ripiegare su Napoli.

11. Costante augusto, quando vide che non aveva ottenuto niente contro i Longobardi, ritorse tutto il terrore della sua malvagità contro i propri sudditi, cioè contro i Romani. Lasciata Napoli, si diresse a Roma. Tornato a Napoli, l'imperatore raggiunse via terra la città di Reggio. E passato in Sicilia, pose la sua residenza a Siracusa, affliggendo il popolo, gli abitanti e i possessori della Calabria, della Sicilia, dell'Africa e della Sardegna; ma alla fine scontò la pena per tante iniquità e fu ucciso dai suoi mentre si lavava nel bagno.

Sesto libro
Da Cuniperto alla morte di Liutprando.

38. Il re Liutprando fu uomo di grande audacia, tanto che una volta, quando gli fu riferito che due dei suoi armigeri tramavano di ucciderlo, entrò con loro da solo in una selva fittissima e all'improvviso, puntando contro di loro la spada sguainata, li accusò di aver progettato di ucciderlo e li sfidò a farlo. Subito quelli, caduti ai suoi piedi, gli confessarono tutto quello che avevano macchinato. E anche con altri si comportò in maniera analoga; però risparmiò chi avesse prontamente confessato un crimine pur così grave.

58. Re Liutprando; questo gloriosissimo re costruì molte basiliche in onore di Cristo nelle varie località dove era solito risiedere. Fondò il monastero del beato Pietro che è posto fuori le mura di Ticino ed è chiamato “Cielo d'Oro”. Nella sua proprietà suburbana di Olona costruì a Cristo un bellissimo tempio in onore del santo Martire Anastasio e vi fondò anche un monastero. Nel suo stesso palazzo edificò un oratorio al Signore e Salvatore e istituì un collegio di sacerdoti e di chierici che ogni giorno gli cantassero l'ufficio divino. Spesso egli previde avvenimenti futuri e annunciò anche cose che avvenivano lontano come se accedessero sotto i suoi occhi. Ma Liutprando, dopo aver retto il regno per 31 anni e sette mesi, ormai maturo di anni, compì il corso di questa vita (744) e il suo corpo fu sepolto nella basilica del beato Adriano martire, dove anche suo padre riposa. Fu uomo di molta saggezza, accorto nel consiglio, di grande pietà e amante della pace, fortissimo in guerra, clemente verso i colpevoli, casto, virtuoso, instancabile nel pregare, largo nelle elemosine, ignaro sì di lettere ma degno di essere paragonato ai filosofi, padre della nazione accrescitore delle leggi. All'inizio del suo regno conquistò moltissimi castelli dei Bavari, sempre fidando più nelle preghiere che nelle armi, sempre custodendo con la massima cura la pace con i Franchi e con gli Avari.


Così termina l'Historia Langobardorum di Paolo Diacono, concludendo il romanzo in maniera proficua e lieta.

Cosa successe poi ai Longobardi?
Seguì Liutprando sul trono il nipote Ildeprando, che purtroppo non riuscì a portare avanti il buon governo dello zio. Fu deposto con un'azione di forza e costretto a lasciare il trono a Ratchis. Egli diede l'avvio a una campagna militare di espansione; occupando diverse terre dell'Esarcato Bizantino. Ultimo re dei Longobardi fu Desiderio. Fu costretto a scontrarsi con papa Paolo I, di politica filofranca. Desiderio cercò di sviluppare un'alleanza coi Bizantini, per opporsi con maggiore forza all'accordo franco-pontificio. Ciò non ebbe buon fine e i Bizantini delusero le aspettative di Desiderio. Nel 767, dopo la morte del papa Paolo I, fu eletto papa Stefano III che continuò la politica filofranca della Chiesa. Nel 769 Desiderio decise allora di muoversi verso Roma, sperando che gli stessi Romani si ribellino al papa poiché scontenti. In realtà potrà arrivare solo fino all'esterno della città. Nella popolazione dei Franchi la vedova di Pipino, Bertrada, cercò di riavvicinarsi ai Longobardi, facendo sposare il proprio figlio Carlo (Magno) con Desiderata (Ermengarda) figlia di Desiderio. Carlo fu però rimproverato da papa Stefano III, di essersi così legato ai nemici della Chiesa. Desiderata finì per essere ripudiata. Per i Longobardi il pericolo è elevato: nel 773 i Franchi muovono contro di lui con forti e grandi eserciti.I Franchi ebbero facile vittoria. Desiderio si rinchiuse a Pavia deciso a difenderla; il figlio Adelchi fece la stessa cosa con Verona. Le due città furono comunque costrette ad arrendersi. Nel 774 i Longobardi furono completamente annientati e amalgamati con i Franchi.


Lettura consigliata:

Storia dei Longobardi - Paolo Diacono
A cura di Lidia Capo
Fondazione Lorenzo Valla / Arnoldo Mondadori editore
2008 - 645 pag 

Leggi questo libro se vuoi conoscere la storia dei longobardi e saperne di più di Teodolinda a Monza!
 
 
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