MUSICA E TEATRO A MILANO
Teatri oltre La Scala
Il
primo teatro a Milano fu costruito alla fine del 1° secolo a. C.
Furono protagoniste le rappresentazioni con buffoni, musicisti,
acrobati, giochi pirotecnici e finte battaglie navali. Sui
palcoscenici gli attori proponevano commedie, tragedie, farse
(spettacoli satirici). Furono poi amati il mimo con testi in prosa e
in versi, accompagnato da musica e danza; e la pantomima con la
recitazione attraverso il corpo e le mani, gesti espressivi,
accompagnati dalla musica e dal canto di un coro. La
prima forma di tradizione musicale popolare milanese può essere
invece riconosciuta nella produzione dei noti Inni Ambrosiani.
Piacevoli e facili da comprendere, erano amati anche dai ceti sociali
più bassi. Con il passare del tempo gli Inni non si limitarono più
ad essere punto fermo della liturgia ambrosiana, ma andarono ben
oltre. Abituati a questa musicalità, le genti rallegravano il loro
tempo canticchiando o intonando spesso gli inni, storpiando pure le
parole o associando la stessa musicalità ad altri argomenti.
Durante
l'epoca sforzesca, fu Galeazzo Maria (1466-1476) ad istituire delle
vere e proprie cappelle musicali sia presso il Castello, che presso
il Duomo di Milano. Famoso fu il musicista Josquin Desprès, dal 1459
al 1472 cantore in Duomo, poi al servizio di Galeazzo Maria.
Considerato
tra i maggiori musicisti, fu autore attivo sia nella composizione di
musica sacra, sia di musica profana. Gli è stata attribuita la
canzone popolare Scaramella va alla guerra.
Nella
seconda metà del XV secolo divenne maestro di cappella del Duomo
Franchino Gaffurio, lodigiano, sacerdote, teorico della musica e
compositore, ricordato specialmente per la sua partecipazione alla
Festa del Paradiso di Leonardo presso il Castello Sforzesco nel 1490.
Secondo
tradizione uno di questi due musicisti è il personaggio maschile
rappresentato nel Musico di Leonardo. Le due istituzioni musicali
operavano in separata maniera: la cappella del Duomo offriva
esclusivamente un repertorio sacro; la cappella del Castello si
legava ad esecuzioni non concernenti le funzioni liturgiche. Nelle
grandi solennità le cappelle potevano però unirsi, raggiungendo una
qualità elevatissima. Alla fine del ducato sforzesco la cappella del
Castello incominciò a disperdersi, mentre continuò la sua attività
la cappella del Duomo, che fu innalzata da nomi ben noti nella musica
europea.
IL
MENEGHINO
Meneghino
è una maschera lombarda che comparve sulla scena teatrale nel '500,
come raffigurazione di un personaggio popolare.
La
sua fisionomia venne precisata dallo scrittore Carlo Maria Maggi
(1630-1699) in opere come I
consigli di Meneghino (1697), Il
concorso dei Meneghini (1698-99). All'inizio dell'800
anche Carlo Porta ne accentuò il carattere di censore dei costumi
del clero e dell’aristocrazia. Meneghino potrebbe derivare dal
termine domenighin,
soprannome con cui venivano chiamati i servi che alcuni milanesi,
soprattutto nobildonne, assumevano temporaneamente per il solo giorno
della domenica, così da ostentare nelle passeggiate, nei ricevimenti
o durante la messa, la presenza di un personale, in realtà
inesistente.
Il
cognome di Meneghino è Pecenna, derivato quasi certamente dal verbo
milanese peccenà,
affine a pettenà
e
significante pettinare. Questa maschera sarebbe colui che pettina. Il
senso può essere applicato al vero mestiere del parrucchiere, oppure
a una figura ironica e sarcastica.
Il
personaggio ideato da Carlo Maria Maggi è un servo bonario,
caritatevole, allo stesso tempo irriverente e beffardo, con un
carattere che lo porta ad accettare il mondo così com'è, non con
rassegnazione, quanto con la consapevolezza che le cose possano
migliorare con il passare del tempo. Simbolo
del milanese tipo, Meneghino è una persona simpatica, sincera,
schietta e sbrigativa, che non sa mai stare senza far nulla.
Desideroso di mantenere la propria libertà, non fugge quando deve
schierarsi al fianco dei più deboli, essendo dotato di un forte
senso morale, di una grande dignità e di una buona dose di saggezza.
Non a caso, per le sue virtù, questa figura fu scelta come
eroe-simbolo delle Cinque Giornate di Milano (1848). I milanesi,
secondo tradizione, ne esibirono la maschera sulle barricate, quale
simbolo di libertà e di riscatto dalla soppressione. Questa fama fu
consolidata dall'attore-autore '800tesco Giuseppe Moncalvo, che in
opere come Dialogo fra
Radetsky e Metternich con Meneghino locandiere, da al
nostro personaggio forti connotati nazionalisti. La
maschera milanese è sposato con Cecca di Berlinghitt (in milanese
fronzoli, decorazioni), venditrice di nastri. Il Meneghino non
disdegna la buona tavola e davanti a una fetta di panettone possono
anche salirgli le lacrime agli occhi, non solo perché ne è molto
goloso, ma perché gli ricorda la sua Milano e il «so Domm», di cui
non smette mai di vantarsi. Il suo costume è formato da un cappello
a forma di tricorno, una parrucca con un codino stretto da un nastro,
una lunga giacca rossiccia e marrone, calzoni corti e verdi e calze a
righe rosse e bianche. Sotto la giacca, Meneghino, uno dei pochi
personaggi della Commedia dell’arte a non avere la maschera, porta
una camicia gialla con i bordi di pizzo, un gilet a fiori e a righe,
un fazzoletto intorno al collo. Le scarpe sono marroni, della forma
di una volta, con fibbia sul davanti. In mano porta un ombrellino
rosa.
SALA
MARGHERITA – TEATRO DUCALE
Durante
l'arcivescovado di San Carlo Borromeo, le rigide regole provocarono
una forte limitazione dello sviluppo culturale e musicale nel
territorio, soprattutto per ciò che non fosse collegato all'uso
liturgico. Nonostante i divieti, le rappresentazioni profane erano
continuamente allestite nei saloni dei grandi palazzi signorili,
utilizzando strutture provvisorie e palcoscenici improvvisati. Alcune
manifestazioni ufficiali erano organizzate per visite di governanti o
di importanti personalità. Nel
1594 fu costruito un teatro in legno provvisorio da Antonio Maria
Prata e Giuseppe Meda nel secondo cortile di Palazzo Ducale per
festeggiare la contessa de Haro, nuora del governatore spagnolo don
Juan Fernandez de Velasco.
Fu
solo dal 1598 che Milano ebbe un teatro più stabile in città. Il
Salone Margherita fu costruito sempre nei giardini di Palazzo Ducale,
diventando un punto fermo per l'aristocrazia durante gli avvenimenti
mondani di rilievo, ospitando con certa continuità spettacoli
teatrali. Direttori dei lavori furono l'architetto Tolomeo Rinaldi e
l'ingegnere Giovanni Battista Clarici. Le decorazioni vennero
realizzate da Valerio Profondovalle e da Paolo Camillo Landriani
detto il Duchino. Di forma rettangolare, era dotato di una loggia con
trono regale e di un'esedra con fontane, colonne, statue, lapidi e
stemmi. Il soffitto a finta volta a botte era decorato con una
leggiadra donzella addormentata in un cespuglio, circondata da dee
che lasciavano i loro doni. Per l'inaugurazione era attesa la
principessa Margherita d'Austria. Ciò avvenne con balli in maschera
e ricchi costumi. Il
teatro era di esclusiva frequentazione aristocratica. Gli spettatori
rifiutavano addirittura il pagamento di qualsiasi biglietto
d'entrata, considerando gli spettacoli di naturale diritto. Il
comune popolo doveva provvedere in proprio a procurarsi gli
spettacoli e gli attori: bastava una piazza, delle assi di legno,
comici, saltimbanchi. Solo verso la fine del XVI secolo fu costruita
sempre in Palazzo Ducale una piccola struttura trapezoidale,
utilizzata per le opere di prosa. Il teatro della Commedia, così
chiamato, era aperto anche al popolo che era collocato sempre su assi
di legno in platea. Il Salone Margherita fu presto modificato da
Fabio Mangone e Francesco Maria Richini, che nel 1648 lo dotò di una
galleria che lo metteva in comunicazione con gli appartamenti del
governatore. Dopo diversi incendi e rifacimenti, il Salone Margherita
cambiò completamente forma e dopo la ristrutturazione di inizio '700
appoggiata dal governo austriaco, divenne ufficialmente Regio Ducale
Teatro di Corte. Una lapide recitava: “I
nobili milanesi hanno ricostruito più bello e più grande di prima
il loro teatro distrutto da un incendio grazie anche
all'interessamento del Principe Massimiliano di Löwenstein ed
essendo a capo dei lavori il conte Francesco Corio nell'anno di
salute 1717 l'hanno dedicato al loro clementissimo re Carlo VI
Augusto Imperatore del Sacro Romano Impero”. L'inaugurazione
avvenne il 26 dicembre 1717 con l'opera Costantino,
di Francesco Gasparini. La direzione del progetto del nuovo teatro fu
di Domenico Valmagini, G.B Quadrio, Domenico Barbieri (allievo
Bibbiena). Sul palcoscenico comparivano i medaglioni di Carlo VI e la
Fenice – teatro
risorto dalle Ceneri – il palco e la platea erano collegati
attraverso 2 ampie scalinate per sfruttare
lo spazio necessario ai balli. Erano presenti 180 palchetti divisi in
36 per 5 file. Vennero effettuati spettacoli internazionali con
l'obiettivo di far notare l'interesse austriaco. Dal 1733, dopo la
Pasqua si effettuavano spettacoli di prosa (es. Goldoni). Dal 1745
nacquero la stagione del Carnevale e quella primaverile. La stagione
teatrale si svolgeva generalmente da novembre ad agosto quando il
patriziato risiedeva in città. Nel teatro suonò anche Mozart con
Mitridate re di Ponto (26
dicembre 1770), Ascanio in
Alba (19 dicembre 1771 – effettuato per il
festeggiamento della nozze tra Ferdinando d'Asburgo e Beatrice
Ricciarda d'Este), Lucio
Silla (26 dicembre 1772). Le due ultime opere realizzate,
vennero composte esclusivamente per il pubblico milanese.
TEATRO
ALLA CANNOBIANA – TEATRO LIRICO DI MILANO
Il
teatro denominato piccolo o popolare, fu costruito per volontà
dell'imperatrice Maria Teresa d'Austria, da Giuseppe Piermarini. Fu
inaugurato il 21 agosto 1779 con La
Fiera di Venezia e Il
talismano di Antonio Salieri. Dotato di 2300 posti con 450
sedie su 14 file, 30 palchi in 3 ordini, fu un teatro che godette di
elevata popolarità in Milano. Fu costruito sull'area delle ex Scuole
Cannnobiane, tra via Rastrelli, Via Larga e via delle Ore. L'edificio
assunse il nome della Scuola di Dialettica e Morale, fondata da Paolo
da Cannobio nel 1554. Alla Cannobiana si andava per cenare, vedere
spettacoli, giocare nel ridotto, per fissare appuntamenti galanti
(es. Ugo Foscolo e Antonietta Fagnani Arese), partecipare a festosi
balli in maschera. Nel 1832 Donizzetti rappresentò l'Elisir
d'Amore. Dopo un periodo di decadenza, il teatro divenne
proprietà della società Sonzogno con l'intitolazione di Teatro
Lirico Internazionale. Riaperto nel 1894, qualche anno dopo divenne
luogo che portò alla celebrità il tenore Enrico Caruso. Nel 1926
divenne proprietà del Comune di Milano. Un grave incendio lo
danneggiò nel 1938. Il Comune
decise di ricostruirlo in forme nuove, incaricando l'architetto Cassi
Ramelli del progetto. Nel 1943 il Lirico ospitò la stagione del
Teatro alla Scala, molto danneggiato dai bombardamenti. Il 16
dicembre 1944 Benito Mussolini, in occasione della celebrazione della
morte di Filippo Tommaso Marinetti, pronunciò il Discorso della
riscossa. Nel dopoguerra, il Teatro Lirico tornò a svolgere il suo
ruolo culturale. Nel 1960 venne concesso al Piccolo Teatro di
Strehler, funzionando come sala grande. Si aprì un'importante
stagione di opere di Brecht, di balletto, di concerti di Giorgio
Gaber, di manifestazioni politiche, fino agli anni novanta, quando
una crisi finanziaria ne provocò la chiusura. Sotto restauro per una
nuova rinascita, nel 2003 è stato dedicato a Giorgio Gaber. Possiede
una capienza di 1600 posti.
IL
PICCOLO DI MILANO
Il
Piccolo di Milano fu fondato il 14 maggio 1947 da Giorgio Strehler,
Paolo Grassi e Nina Vinchi. L'idea era quella di dare vita a
un’istituzione sostenuta dallo Stato e dagli enti locali, in quanto
pubblico servizio necessario al benessere dei cittadini. Teatro
d’Arte per Tutti era lo slogan che accompagnava il Piccolo alla sua
nascita e che anche oggi ne riassume pienamente le finalità: portare
in scena spettacoli di qualità indirizzati a un pubblico il più
ampio possibile. Il Piccolo gestisce oggi 3 sale: la sede storica
Piccolo Teatro Grassi (Via Rovello - 500 posti) con sede in quello
che fu Palazzo Carmagnola così chiamato poiché donato al famoso
condottiero dal duca Filippo Maria Visconti, reso poi famoso dalla
permanenza di Cecilia Gallerani che ricevette lo stabile dall'amante
duca Ludovico il Moro. L'inaugurazione avvenne con L'albergo
dei Poveri di Gorkij. La sede ha subito recentemente un
restauro che ha portato anche al recupero del chiostro rinascimentale
con la scoperta di alcuni affreschi legati a Bramantino. La 2ª sede
è il Piccolo Teatro Studio (Via Rivoli – 370 posti), dove è
ospitata la Scuola di Teatro. La 3ª sede è ora la principale (largo
Greppi – 982 posti), inaugurata nel 1998 su progetto di Marco
Zanuso. Già dagli anni '60 Strehler sognò un teatro nuovo e
polivalente. Negli anni '80, leggendarie furono le sue continue
dimissioni dalla direzione del teatro nella speranza di riuscire a
far muovere quelle gru ferme da dieci anni nei pressi del Castello
Sforzesco di Milano. Strehler non riuscì a vederne l'inaugurazione:
morì nella notte di Natale del 1997. L'apertura della nuova sala fu
comunque segnata dalla messa in scena del Così
fan tutte di Mozart dello stesso regista. Dal 1991 il
Piccolo Teatro di Milano è anche Teatro d’Europa: ha accentuato la
propria dimensione internazionale e interdisciplinare, candidandosi
quale ideale polo culturale cittadino ed europeo. Sui suoi
palcoscenici si alternano spettacoli di prosa e danza, opere liriche,
rassegne e festival di cinema, tavole rotonde e incontri di
approfondimento culturale.
Giorgio
Strehler (Barcola, Trieste 1921-Lugano 1997), regista e attore. Il
palcoscenico è il luogo in cui si concretizza l'immagine del mondo
dove, in punta di piedi, i grandi signori della scena, ai quali di
diritto appartiene, possono dialogare con il popolo dei personaggi e
attraverso di loro con gli spettatori. Ma anche tutto è nel testo e
quanto è già stato detto e scritto può essere mediato, incarnato,
dall'Attore. Dal 1947 Strehler dirige al Piccolo spettacoli che
appartengono alla storia del teatro e della regia. Si può
rintracciare l'interesse per l'uomo in tutte le sue azioni. In questo
porre l'uomo sotto la lente d'ingrandimento del suo teatro, vennero
alla luce alcuni rapporti che destavano interesse: l'uomo e la
società, l'uomo e sé stesso, l'uomo e la storia, l'uomo e la
politica. All'interno di una produzione stupefacente, a venire in
primo piano è il lavoro sui segni del teatro (le scene, le
atmosfere, le sue inimitabili luci, e quella capacità prodigiosa nel
saper ricreare, con apparente leggerezza, situazioni di altissima
poesia) e lo scavo esigente, duro, mai soddisfatto sulla recitazione,
che trova il suo vertice nel vero e proprio corpo a corpo che egli
instaura con gli attori: un vero esempio di maieutica.
Paolo
Grassi (Milano, 30 ottobre 1919 – Londra, 14 marzo 1981) Legato da
un'amicizia fortissima con Strehler, conosciuto (come sempre
affermato da entrambi) alla fermata angolo via Petrella del tram
numero sei - direzione Loreto-Duomo – fu dal 1972 al 1977
sovrintendente del Teatro alla Scala, mentre dal 1977 al 1980
presidente della RAI. In seguito diresse la casa editrice Electa ma
morì prematuramente in Inghilterra a seguito di un fallito
intervento chirurgico al cuore. È sepolto nel Civico Mausoleo
Palanti presso il Cimitero Monumentale di Milano.
Nina
Vinchi (Milano 27 marzo 1911 – 15 giugno 2009) Frequentò spesso i
teatri cittadini e fu segnalata a Giorgio Strehler e Paolo Grassi, i
quali cercavano una valida collaboratrice che li aiutasse a creare il
Piccolo Teatro della Città di Milano, da alcuni attori Memo Benassi,
Renzo Ricci, Eva Magni, Remigio Paone. Nel 1947 sposò Arturo Lazzari
redattore capo del Calendario del Popolo e poi critico teatrale
dell’Unità. Uomo tranquillo, molto colto, fu di grande aiuto ai
tre pionieri del nuovo teatro. Nina resse il peso dell’organizzazione
produttiva e amministrativa del Piccolo Teatro cercando di fare
interagire le ragioni dell’arte a quelle di una perfetta gestione
finanziaria. Lazzari morì nel 1975 e due anni dopo Nina si unì in
matrimonio con Paolo Grassi. Inossidabile, amata, temuta, venerata,
Nina Vinchi non ha mai smesso un solo istante di guidare il suo
teatro verso quell’eccellenza che la gente di teatro del mondo
intero le riconosce. Innumerevoli sono i premi che le furono
attribuiti: la Medaglia d’argento della Città di Milano, la nomina
a Grand’ufficiale al Merito della Repubblica, la Medaglia d’Oro
del Premio della Riconoscenza della Provincia di Milano, la nomina
francese di Officier des Arts et des Lettres, il Premio Maratea per
una vita nel teatro.
TEATRO
CARCANO
Alla
fine del '700 il Piermarini fu incaricato di sistemare corso di Porta
Romana, provvedendo a restaurare le case, intervenendo sulle
decorazioni architettoniche con gusto personale, ordinando il
miglioramento del suolo stradale selciato a nuovo e listato di
trottatoi di granito sui quali sfrecciavano (si diceva a quel tempo)
i cocchi spesso spinti a velocità smodate. Nel 1801 la Società
teatrale della Casa Carcano decise di trovar spazio per un nuovo
grande teatro. Si scelse l'area dell'ex convento di San Lazzaro,
acquistata da Giuseppe Carcano. L'architetto Luigi Canonica realizzò
l'edificio tenendo come modello la Scala e il Teatro della
Cannobiana. Il Teatro Carcano ha quattro ordini di palchi, volta
decorata a stucchi e dorature, un medaglione centrale, ornamenti
dappertutto di tipo neoclassico. Posti dai 1200 ai 1500. Il 3
settembre 1803 la nobiltà e la ricca borghesia riempirono il teatro
per la serata inaugurale: il programma comprendeva Zaira
tratta dal dramma di Voltaire, musicata da Vincenzo
Federici e il ballo Alfredo
il grande musicato da Paolo Franchi. L'attività
proseguì con un certo lustro e con intervento di artisti famosi. Una
serata memorabile fu quella del 15 ottobre 1813 nel corso della quale
Niccolò Paganini venne proclamato primo violinista del mondo: le sue
"Streghe" -
scrisse un cronista - sbalordirono e intontirono. Sul palcoscenico
del Carcano passarono negli anni le più grandi dive della lirica,
dalla Pasta alla Malibran. Giuditta Pasta tenne a battesimo prima
Anna Bolena di
Donizetti e poi, la sera del 6 marzo 1831, La
Sonnambula composta da Bellini, a Milano, in due mesi.
Dopo Beatrice di Tenda, altra
primizia belliniana, Maria Malibran legò il suo nome (1833) a
celebri edizioni di Norma e
de La Sonnambula. Una
pagina di Carlo Cattaneo in "Notizie naturali e civili sulla
Lombardia", da uno spaccato preciso della Milano degli anni
attorno al 1840: "I
bastioni solitari e paurosi, ove si seppellivano i giustiziati,
divennero ombrosi passeggi; si tolse il lezzo alle strade; e l'orrida
abitazione dei cadaveri si rimosse dalle chiese; si sgombrarono dagli
accessi dei santuari i mendicanti, ostentatori d'ulceri e di
mutilazioni; a poco a poco non si videro più nella città piedi nudi
e abiti cenciosi. Si apersero teatri, ove le famiglie, inselvatichite
da sette generazioni, impararono a conoscersi, e gustarono le
dolcezze del vivere civile, della musica, della poesia. II genio
musicale rispetta e ambisce il giudizio del nostro popolo; un solo
carnevale in uno dei minori nostri teatri diede al diletto
dell'Europa la Sonnambula e Anna Bolena. Regnò la tolleranza di
tutti i culti; e si aperse ospite soggiorno agli stranieri che
apportavano esempi di capacità e d'intraprendenza. S'introdussero
le scienze vive nella morta Università; si fondarono accademie di
belle arti; rifiorì l'architettura, l'ornato riprese greca eleganza;
s'innalzarono osservatori astronomici, si costrusse la carta
fondamentale del paese; si apersero nuove biblioteche; le madri
tolsero ai cuochi a agli stallieri la prima educazione dei figli.
Soave rifece tutti i libri elementari; Parini, Mascheroni, Arici
ricondussero l'eleganza letteraria indirizzandola ad alti fini
scientifici e morali; Beccaria lesse economia politica; surse a poco
a poco quella costellazione di nomi splendidi alle scienze a alle
arti: Volta, Piazzi, Oriani, Appiani, cogli altri che la
continueranno fino ai viventi. Gli allievi di tanto senno si sparsero
in tutte le province, e propagarono in tutte le classi quel fausto
movimento di cose e di idee che ci attornia da ogni parte, e ci
arride all'immaginazione." Il
Carcano vide le barricate delle Cinque Giornate erette proprio li
davanti al suo ingresso. Fiero del suo blasone patriottico, fu il
primo teatro a riprendere le rappresentazioni, la sera del 30 marzo,
con la Compagnia Nazionale Lombarda diretta da Giuseppe Moncalvo
scoppiettante di legittimo entusiasmo; lo spettacolo si concludeva
con un "grazioso dialogo tra Metternich e Radetzky con Meneghino
locandiere". Nell'ordine naturale delle cose che, ritornati gli
austriaci, il Carcano dovesse fare spesso i conti con la censura.
Alla lirica, nuovamente in gran voga dopo il 1850, si alternarono la
prosa, gli spettacoli da circo e i concerti bandistici. Vi
fu la prima di El
nost Milan,
avvenuta la sera del 6 febbraio 1893 di Carlo Bertolazzi. Un
alternarsi di diversi impresari, sul finire del XIX secolo, contribuì
alla prima morte del teatro. Nel 1904 la sala era ormai ridotta a mal
partito. Il Carcano tornò a funzionare grazie a Luigi Gianoli,
grazie al progetto dell'architetto Nazzareno Moretti. Vennero
demoliti alcuni stabili attorno. La nuova facciata rientrante a
emiciclo e l'ampio porticato con un'aiuola antistante, riflettono i
nuovi a anche incerti orientamenti del gusto con contaminazione
eclettica di reminiscenze neoclassiche e influenze dello stile
floreale. Si riaprì la sera dal 29 maggio 1913. Nel secondo
dopoguerra il Carcano ebbe una crisi. Fu del dicembre 1946 la sua
definitiva chiusura, come teatro. Adattato a cinema, riaprì l'8
ottobre 1948 con uno spettacolo dal titolo Le
4 arti rendendo
omaggio a prosa, danza a musica. Nei primi anni Ottanta il Carcano
viene recuperato alla sua originaria vocazione e da allora svolge un
ruolo fondamentale nella vita culturale milanese. Sotto la direzione
artistica di Giulio Bosetti - dal 1997 fino alla sua scomparsa a
dicembre 2009 - il Carcano si è distinto come teatro dedicato
essenzialmente alla prosa.
TEATRO
FOSSATI
Destinato
negli anni '80 all’ambizioso programma di Piccolo Teatro di Giorgio
Strehler e Paolo Grassi, il teatro Fossati nacque come teatro diurno
nel 1859, su progetto dell’architetto Fermo Zuccari, in una zona
popolare. Costruito su un terreno appartenuto alla chiesa di Santa
Maria degli Angioli, fu inaugurato il 25 aprile alle ore 16.30 con La
colpa vendica la colpa, dramma di Paolo Giacometti. La
struttura apparteneva a quel gruppo di teatri diurni, con una sala
aperta verso il cielo, che erano destinati alle classi popolari,
attraverso un repertorio che si specchiava alle attese del pubblico,
attraverso localizzazioni decentrate, dove omogeneità di ceto e
densità potevano garantire affluenza costante. Pur trovandosi a
breve distanza dal centro, aveva sede in una zona umile composta
prevalentemente da artigiani, piccoli commercianti, ortolani. Pensato
per spettacoli pomeridiani, il Fossati aveva in origine un impianto
vagamente elisabettiano, scoperto, con sala a ferro di cavallo e tre
ordini di logge per una capienza complessiva di circa 1000-1200
spettatori. Presentava l’anomalia di due facciate contrapposte, di
diverso rango ed estensione, entrambe decorate in terracotta dallo
scultore Andrea Boni. Statue Garibaldi e Anita su Corso Garibaldi.
Dal 1925 fu utilizzato sporadicamente per spettacoli di varietà e
proiezioni cinematografiche. Su
progetto di Marco Zanuso e Pietro Crescini il Fossati riaprì come
Teatro Studio nel 1987 di fronte al cantiere del nuovo Piccolo.
L’intervento ha restaurato i fronti originali anche dell’edificio
attiguo, nel quale sono allocati gli uffici e gli spazi comunicanti
della Scuola europea di teatro. Dentro l’involucro svuotato del
vecchio Fossati si è recuperato il tracciato ellittico della sala
preesistente sostituendola con un nuovo invaso definito da una parete
portante in muratura di mattoni pieni, alla quale si aggrappano 4
ordini di ballatoi in lastre prefabbricate di cemento armato
sostenute da mensole e protette da parapetti in ferro. Il
palcoscenico rettangolare si fonde senza soluzione di continuità con
la sala e anche la copertura in capriate di larice posate
direttamente sulle murature d’ambito perimetrali, sottolinea
l’unità ideale dello spazio interno. Coerente rispetto alla
propria natura di teatro sperimentale, il nuovo Fossati presenta uno
spazio in cui non c'è distinzione tra luogo della rappresentazione e
luogo della ricezione. È offerta una nuova possibilità di usufruire
degli stessi elementi spaziali sia da parte degli attori che del
pubblico. In tal modo, sia la platea può essere usata dagli attori,
sia il palcoscenico dal pubblico, sia i ballatoi da entrambi.
TEATRO
ARSENALE
Il
Teatro Arsenale ha sede in un edificio risalente al 1272 in via
Cesare Correnti. La costruzione originariamente fu luogo di culto
dedicato ai Santi Simone e Giuda. Nel 1300 vi ebbe luogo il famoso
processo d’Inquisizione contro Maifreda da Pirovano, un’Umiliata
appartenente alla famiglia di Matteo Visconti, signore di Milano. Nel
corso del tempo, la chiesa fu annessa al Collegio dei Calchi e dei
Taeggi. Sconsacrata in epoca napoleonica, dal 1810 iniziò una
metamorfosi che si è protratta fino ai giorni nostri: teatro, sala
da ballo, deposito, teatro delle marionette, di nuovo luogo di culto,
sede di associazioni e infine, dal 1978, sede del Teatro Arsenale,
che riprende nel nome la funzione di deposito svolta nell'800.
Profondamente ricco di storia, luogo di emblematici avvenimenti della
vita spirituale ed artistica milanese, ha un fascino particolare che
colpisce chiunque vi entri. La
sala è un'area rettangolare completamente vuota che si presenta come
un involucro di cui non si percepiscono le dimensioni. Per questo è
stata definita la black box milanese. La flessibilità dello spazio è
di grande supporto alla creatività e può originare inedite
soluzioni di allestimento. Si generano effetti spaziali fortemente
emozionali e spettacolari anche con il solo ausilio
della regia luci, o con pochi elementi scenografici. Dell'originaria
architettura si conserva l'abside con i tre archi che accolgono lo
spettatore che entra in sala. Il livello del pavimento dell'abside è
sopraelevato di circa 60 cm rispetto a quello della sala ed è
separato da gradoni. Dall’altro lato, si affaccia la balconata del
gineceo che, originariamente, ospitava le suore di clausura che
seguivano, così appartate, le messe. Attualmente
gli può essere assegnata una funzione integrata con lo spazio della
sala in base alle esigenze dell'evento. L'interno dell'edificio
presenta alte finestre ogivali, che possono essere oscurate o
lasciate a vista in funzione delle esigenze di utilizzo della sede.
Le dimensioni della sala sono di 18x10m, una superficie interna di
circa 200 mq, comprendendo la parte dell’abside, l’altezza utile
è di 5,50 m. La capienza massima è di 150 persone.
TEATRO
DEI FILODRAMMATICI
All’ingresso
di Napoleone Bonaparte nel 1796, furono sconsacrati diversi luoghi di
culto, tra i quali il Collegio de’ Nobili, fondato da Carlo
Borromeo e gestito dai Padri Barnabiti. Venne così creata la Società
del Teatro Patriottico, grazie anche a Giovanni Bernardoni,
stampatore di Milano, per diffondere le idee democratiche del nuovo
governo. Nel 1798, i Barnabiti ripresero possesso del collegio e la
Società del Teatro Patriottico, grazie all’intervento della
Repubblica Cisalpina, del Comune di Milano e di tanti cittadini
simpatizzanti, offrì l’incarico a Luigi Canonica per la
costruzione di un teatro. La sala avrebbe avuto a disposizione circa
1.000 posti, divisi in quattro ordini a logge e senza palchi, per
rispondere ai principi e all’ideologia democratica del tempo. Nel
1805 il Teatro fu ribattezzato Teatro dei Filodrammatici con
l'omonima Accademia, che vide il susseguirsi di noti presidenti,
soci, insegnanti e attori (es. Vincenzo Monti, Carlo Porta, Ugo
Foscolo, Cesare Beccaria, Giuseppe Giacosa – Giuseppe Verdi che fu
direttore e maestro di cembalo). Gli spettacoli andavano in scena il
venerdì, giorno di chiusura del Teatro alla Scala. L'Accademia aveva
anche il compito di istruire il pubblico: entrare con pagamento, non
fumare, non stare in piedi, non tenere il cappello in testa, non
entrare a spettacolo iniziato, non chiedere il bis. La struttura
originale venne sostituita nel 1904 con un edificio dalle forme
liberty, dagli architetti Laveni e Avati. Di questa struttura si
conserva solo la facciata con decorazioni e intrecci floreali in
stucco e ferro tipici dell’epoca, mentre l’interno fu rifatto
completamente dall’architetto Luigi Caccia Dominioni negli anni
’60, dopo
la parziale distruzione causata dalla 2ª guerra mondiale. La sala,
dopo essere stata affidata a partire dagli anni ‘70 a diverse
compagnie teatrali, è tornata ad essere direttamente gestita dalla
stessa Accademia.
TEATRO
DAL VERME
La
storia del Teatro Dal Verme cominciò curiosamente nel 1864 con il
cavallerizzo milanese, Gaetano Ciniselli che, acclamato su tutte le
piste d’Europa e famoso in Russia, fu insignito del titolo di
cavallerizzo onorario di Sua Maestà il Re d’Italia. Per
accoglierlo degnamente nella sua città fu costruito un circo tra le
attuali vie San Giovanni sul Muro e Foro Bonaparte, il Circo
Ciniselli che chiamato Politeama dal 1866, iniziò ad ospitare
compagnie drammatiche e liriche nei periodi in cui Ciniselli si
esibiva all’estero. Tutto ciò non bastò a farne un locale ben
frequentato e le proteste degli abitanti del quartiere indussero il
Conte Francesco Dal Verme, erede del nobile casato e proprietario di
molti appartamenti nella zona, a dichiararsi disponibile all’acquisto
dell’area del Politeama. Le trattative tra Gaetano Ciniselli e
Francesco dal Verme andarono avanti per anni, ma alla fine il Conte
riuscì a spuntarla e il 14 settembre 1872 fu inaugurato lo splendido
Teatro Dal Verme. Progettato da Giuseppe Pestagalli, poteva ospitare
oltre 3000 persone, era dotato di una platea trasformabile in
gradinata e di un palcoscenico adatto alla realizzazione di opere
liriche. L’opera scelta per l’inaugurazione fu Gli
Ugonotti di Giacomo Meyerbeer. Furono memorabili le prime
di Le Villi dell’esordiente
Giacomo Puccini (31 maggio 1884) e dei Pagliacci
di Ruggero Leoncavallo (21 maggio 1892). Il Dal Verme
divenne un punto di riferimento per la Milano colta e moderna. Nei
primi anni del Novecento il Dal Verme divenne un tempio
dell’operetta. Il successo dell’operetta fu tale che era
necessario prenotarsi con un anno di anticipo per poter assistere ad
una replica. Negli anni il Dal Verme si aprì ad ogni tipo di
spettacolo, divenne il luogo di sperimentazione prediletto dai
Futuristi per le loro performance. Per qualche stagione ospitò pure
incontri di boxe. Negli Anni '30 fu trasformato in cinema. I
bombardamenti del 1943 ne distrussero gli interni nonché la
splendida cupola originaria che venne poi spogliata di tutte le parti
metalliche dai tedeschi. Restaurato nel 1946 e di nuovo destinato al
cinematografo, negli anni '50 venne destinato ad ospitare per qualche
stagione le riviste musicali; si tornò poi al cinema e,
saltuariamente, ai congressi politici. La speranza di riportare il
Teatro Dal Verme ai lustri del passato si riaccese quando, nel 1964,
gli architetti Ernesto Rogers e Marco Zanuso approntarono un progetto
che ne prevedeva l'utilizzazione come nuova sede del Piccolo Teatro.
Il progetto non andò in porto soprattutto a causa di difficoltà
finanziarie. Si arrivò così ad un progressivo abbandono della
struttura fino alla definitiva chiusura negli Anni Settanta. Nel 1981
il Comune e la Provincia di Milano acquistarono il Teatro e nel 1987
fu firmata una convenzione con la RAI per la ristrutturazione e
trasformazione in auditorium. Il dal Verme avrebbe dovuto essere
destinato ad ospitare le Stagioni dell'Orchestra Sinfonica della RAI
di Milano che ne avrebbe dovuto gestire i lavori di ristrutturazione.
I lavori iniziano nel 1991, ma lo scioglimento dell'Orchestra della
RAI avvenuto nel 1994 interruppe le operazioni. Nel 1998 la RAI
riconsegnò quindi la struttura al Comune e alla Provincia di Milano
e i lavori ripresero definitivamente il 18 gennaio 1999 con uno
stanziamento di 23 miliardi di Lire. La ristrutturazione si compì in
tempi record e il nuovo Teatro Dal Verme venne inaugurato il 5 aprile
2001, con una settimana di concerti e rappresentazioni che
coinvolsero le massime istituzioni teatrali di Milano. E’
palcoscenico di riferimento per le maggiori produzioni nazionali ed
europee e sede prediletta per la realizzazione di Convegni e
Congressi internazionali, Festival di Letteratura, Arte, Cinema e
Filosofia; è spazio aperto per gli incontri con i più alti
esponenti della società, della politica e della scienza mondiali. Il
Dal Verme è la sede dell’attività sinfonica della storica
Orchestra I Pomeriggi Musicali, ed è il luogo di una programmazione
molto articolata ed eterogenea che apre Milano su un vastissimo
panorama musicale che va dal repertorio classico e sinfonico alla
scena del rock indipendente, dal jazz alla musica elettronica, dal
pop alle maggiori espressioni della musica folk contemporanea
internazionale. Possiede 1436 posti a sedere (1240+196) e un palco di
22 x 14m.
TEATRO
ARCIMBOLDI
Eccellenza
per l'intera area Bicocca, il teatro attira un pubblico anche
metropolitano e regionale. Progettato da Gregotti Associati alla fine
del 2001, fu usato per 2 anni come sostituto della Scala durante i
lavori di restauro. Collocato fuori asse rispetto alla maglia
ortogonale dominante, con ampia vetrata inclinata che copre il foyer,
ne spicca all'esterno la torre scenica alta 40m. Colore dominante è
il bianco che si contrappone alla fascia grigia che percorre tutto il
basamento dell'edificio. La facciata principale è leggermente
ricurva, dominata dal vasto lucernario inclinato di 486 lastre di
vetro. Esso conferisce l'aspetto di una grande lanterna illuminata.
La pensilina bianca segna l'ingresso al teatro e si allunga sulla
piazza triangolare antistante; al centro vi sono i blocchi di acciaio
della scultura di Giuseppe Spagnuolo. L'interno comprende un volume
che corrisponde a tutta l'altezza del foyer. Da un lato è ritmato
dai bianchi pilastri di 15m che sostengono il lucernario e dall'altro
si affacciano tripartite le balconate sovrapporte. La pianta è
simile a quella del teatro alla Scala, ma è molto più capiente:
2400 spettatori 2 livelli di platea e 2 gallerie. Pavimenti e parete
sono interamente coperti in legno. Cromatismo caldo e luminoso,
colore simile a quello del cotto, contribuiscono all'acustica.
Lettura Consigliata:
I Teatri di Milano
Domenico Manzella - Emilio Pozzi
Mursia
1971 - 306 pag
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