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martedì 11 dicembre 2012

Musica e Teatro a Milano

MUSICA E TEATRO A MILANO 

Teatri oltre La Scala   

Il primo teatro a Milano fu costruito alla fine del 1° secolo a. C. Furono protagoniste le rappresentazioni con buffoni, musicisti, acrobati, giochi pirotecnici e finte battaglie navali. Sui palcoscenici gli attori proponevano commedie, tragedie, farse (spettacoli satirici). Furono poi amati il mimo con testi in prosa e in versi, accompagnato da musica e danza; e la pantomima con la recitazione attraverso il corpo e le mani, gesti espressivi, accompagnati dalla musica e dal canto di un coro. La prima forma di tradizione musicale popolare milanese può essere invece riconosciuta nella produzione dei noti Inni Ambrosiani. Piacevoli e facili da comprendere, erano amati anche dai ceti sociali più bassi. Con il passare del tempo gli Inni non si limitarono più ad essere punto fermo della liturgia ambrosiana, ma andarono ben oltre. Abituati a questa musicalità, le genti rallegravano il loro tempo canticchiando o intonando spesso gli inni, storpiando pure le parole o associando la stessa musicalità ad altri argomenti.
Durante l'epoca sforzesca, fu Galeazzo Maria (1466-1476) ad istituire delle vere e proprie cappelle musicali sia presso il Castello, che presso il Duomo di Milano. Famoso fu il musicista Josquin Desprès, dal 1459 al 1472 cantore in Duomo, poi al servizio di Galeazzo Maria.
Considerato tra i maggiori musicisti, fu autore attivo sia nella composizione di musica sacra, sia di musica profana. Gli è stata attribuita la canzone popolare Scaramella va alla guerra.
Nella seconda metà del XV secolo divenne maestro di cappella del Duomo Franchino Gaffurio, lodigiano, sacerdote, teorico della musica e compositore, ricordato specialmente per la sua partecipazione alla Festa del Paradiso di Leonardo presso il Castello Sforzesco nel 1490.
Secondo tradizione uno di questi due musicisti è il personaggio maschile rappresentato nel Musico di Leonardo. Le due istituzioni musicali operavano in separata maniera: la cappella del Duomo offriva esclusivamente un repertorio sacro; la cappella del Castello si legava ad esecuzioni non concernenti le funzioni liturgiche. Nelle grandi solennità le cappelle potevano però unirsi, raggiungendo una qualità elevatissima. Alla fine del ducato sforzesco la cappella del Castello incominciò a disperdersi, mentre continuò la sua attività la cappella del Duomo, che fu innalzata da nomi ben noti nella musica europea.

IL MENEGHINO
disegno meneghino milano
 
Meneghino è una maschera lombarda che comparve sulla scena teatrale nel '500, come raffigurazione di un personaggio popolare.
La sua fisionomia venne precisata dallo scrittore Carlo Maria Maggi (1630-1699) in opere come I consigli di Meneghino (1697), Il concorso dei Meneghini (1698-99). All'inizio dell'800 anche Carlo Porta ne accentuò il carattere di censore dei costumi del clero e dell’aristocrazia. Meneghino potrebbe derivare dal termine domenighin, soprannome con cui venivano chiamati i servi che alcuni milanesi, soprattutto nobildonne, assumevano temporaneamente per il solo giorno della domenica, così da ostentare nelle passeggiate, nei ricevimenti o durante la messa, la presenza di un personale, in realtà inesistente.
Il cognome di Meneghino è Pecenna, derivato quasi certamente dal verbo milanese peccenà, affine a pettenà e significante pettinare. Questa maschera sarebbe colui che pettina. Il senso può essere applicato al vero mestiere del parrucchiere, oppure a una figura ironica e sarcastica.
Il personaggio ideato da Carlo Maria Maggi è un servo bonario, caritatevole, allo stesso tempo irriverente e beffardo, con un carattere che lo porta ad accettare il mondo così com'è, non con rassegnazione, quanto con la consapevolezza che le cose possano migliorare con il passare del tempo. Simbolo del milanese tipo, Meneghino è una persona simpatica, sincera, schietta e sbrigativa, che non sa mai stare senza far nulla. Desideroso di mantenere la propria libertà, non fugge quando deve schierarsi al fianco dei più deboli, essendo dotato di un forte senso morale, di una grande dignità e di una buona dose di saggezza. Non a caso, per le sue virtù, questa figura fu scelta come eroe-simbolo delle Cinque Giornate di Milano (1848). I milanesi, secondo tradizione, ne esibirono la maschera sulle barricate, quale simbolo di libertà e di riscatto dalla soppressione. Questa fama fu consolidata dall'attore-autore '800tesco Giuseppe Moncalvo, che in opere come Dialogo fra Radetsky e Metternich con Meneghino locandiere, da al nostro personaggio forti connotati nazionalisti. La maschera milanese è sposato con Cecca di Berlinghitt (in milanese fronzoli, decorazioni), venditrice di nastri. Il Meneghino non disdegna la buona tavola e davanti a una fetta di panettone possono anche salirgli le lacrime agli occhi, non solo perché ne è molto goloso, ma perché gli ricorda la sua Milano e il «so Domm», di cui non smette mai di vantarsi. Il suo costume è formato da un cappello a forma di tricorno, una parrucca con un codino stretto da un nastro, una lunga giacca rossiccia e marrone, calzoni corti e verdi e calze a righe rosse e bianche. Sotto la giacca, Meneghino, uno dei pochi personaggi della Commedia dell’arte a non avere la maschera, porta una camicia gialla con i bordi di pizzo, un gilet a fiori e a righe, un fazzoletto intorno al collo. Le scarpe sono marroni, della forma di una volta, con fibbia sul davanti. In mano porta un ombrellino rosa.

SALA MARGHERITA – TEATRO DUCALE
Durante l'arcivescovado di San Carlo Borromeo, le rigide regole provocarono una forte limitazione dello sviluppo culturale e musicale nel territorio, soprattutto per ciò che non fosse collegato all'uso liturgico. Nonostante i divieti, le rappresentazioni profane erano continuamente allestite nei saloni dei grandi palazzi signorili, utilizzando strutture provvisorie e palcoscenici improvvisati. Alcune manifestazioni ufficiali erano organizzate per visite di governanti o di importanti personalità. Nel 1594 fu costruito un teatro in legno provvisorio da Antonio Maria Prata e Giuseppe Meda nel secondo cortile di Palazzo Ducale per festeggiare la contessa de Haro, nuora del governatore spagnolo don Juan Fernandez de Velasco.
stampa interno teatro ducale milanoFu solo dal 1598 che Milano ebbe un teatro più stabile in città. Il Salone Margherita fu costruito sempre nei giardini di Palazzo Ducale, diventando un punto fermo per l'aristocrazia durante gli avvenimenti mondani di rilievo, ospitando con certa continuità spettacoli teatrali. Direttori dei lavori furono l'architetto Tolomeo Rinaldi e l'ingegnere Giovanni Battista Clarici. Le decorazioni vennero realizzate da Valerio Profondovalle e da Paolo Camillo Landriani detto il Duchino. Di forma rettangolare, era dotato di una loggia con trono regale e di un'esedra con fontane, colonne, statue, lapidi e stemmi. Il soffitto a finta volta a botte era decorato con una leggiadra donzella addormentata in un cespuglio, circondata da dee che lasciavano i loro doni. Per l'inaugurazione era attesa la principessa Margherita d'Austria. Ciò avvenne con balli in maschera e ricchi costumi. Il teatro era di esclusiva frequentazione aristocratica. Gli spettatori rifiutavano addirittura il pagamento di qualsiasi biglietto d'entrata, considerando gli spettacoli di naturale diritto. Il comune popolo doveva provvedere in proprio a procurarsi gli spettacoli e gli attori: bastava una piazza, delle assi di legno, comici, saltimbanchi. Solo verso la fine del XVI secolo fu costruita sempre in Palazzo Ducale una piccola struttura trapezoidale, utilizzata per le opere di prosa. Il teatro della Commedia, così chiamato, era aperto anche al popolo che era collocato sempre su assi di legno in platea. Il Salone Margherita fu presto modificato da Fabio Mangone e Francesco Maria Richini, che nel 1648 lo dotò di una galleria che lo metteva in comunicazione con gli appartamenti del governatore. Dopo diversi incendi e rifacimenti, il Salone Margherita cambiò completamente forma e dopo la ristrutturazione di inizio '700 appoggiata dal governo austriaco, divenne ufficialmente Regio Ducale Teatro di Corte. Una lapide recitava: “I nobili milanesi hanno ricostruito più bello e più grande di prima il loro teatro distrutto da un incendio grazie anche all'interessamento del Principe Massimiliano di Löwenstein ed essendo a capo dei lavori il conte Francesco Corio nell'anno di salute 1717 l'hanno dedicato al loro clementissimo re Carlo VI Augusto Imperatore del Sacro Romano Impero”. L'inaugurazione avvenne il 26 dicembre 1717 con l'opera Costantino, di Francesco Gasparini. La direzione del progetto del nuovo teatro fu di Domenico Valmagini, G.B Quadrio, Domenico Barbieri (allievo Bibbiena). Sul palcoscenico comparivano i medaglioni di Carlo VI e la Fenice – teatro risorto dalle Ceneri – il palco e la platea erano collegati attraverso 2 ampie scalinate per sfruttare lo spazio necessario ai balli. Erano presenti 180 palchetti divisi in 36 per 5 file. Vennero effettuati spettacoli internazionali con l'obiettivo di far notare l'interesse austriaco. Dal 1733, dopo la Pasqua si effettuavano spettacoli di prosa (es. Goldoni). Dal 1745 nacquero la stagione del Carnevale e quella primaverile. La stagione teatrale si svolgeva generalmente da novembre ad agosto quando il patriziato risiedeva in città. Nel teatro suonò anche Mozart con Mitridate re di Ponto (26 dicembre 1770), Ascanio in Alba (19 dicembre 1771 – effettuato per il festeggiamento della nozze tra Ferdinando d'Asburgo e Beatrice Ricciarda d'Este), Lucio Silla (26 dicembre 1772). Le due ultime opere realizzate, vennero composte esclusivamente per il pubblico milanese.

TEATRO ALLA CANNOBIANA – TEATRO LIRICO DI MILANO
Il teatro denominato piccolo o popolare, fu costruito per volontà dell'imperatrice Maria Teresa d'Austria, da Giuseppe Piermarini. Fu inaugurato il 21 agosto 1779 con La Fiera di Venezia e Il talismano di Antonio Salieri. Dotato di 2300 posti con 450 sedie su 14 file, 30 palchi in 3 ordini, fu un teatro che godette di elevata popolarità in Milano. Fu costruito sull'area delle ex Scuole Cannnobiane, tra via Rastrelli, Via Larga e via delle Ore. L'edificio assunse il nome della Scuola di Dialettica e Morale, fondata da Paolo da Cannobio nel 1554. Alla Cannobiana si andava per cenare, vedere spettacoli, giocare nel ridotto, per fissare appuntamenti galanti (es. Ugo Foscolo e Antonietta Fagnani Arese), partecipare a festosi balli in maschera. Nel 1832 Donizzetti rappresentò l'Elisir d'Amore. Dopo un periodo di decadenza, il teatro divenne proprietà della società Sonzogno con l'intitolazione di Teatro Lirico Internazionale. Riaperto nel 1894, qualche anno dopo divenne luogo che portò alla celebrità il tenore Enrico Caruso. Nel 1926 divenne proprietà del Comune di Milano. Un grave incendio lo danneggiò nel 1938. Il Comune decise di ricostruirlo in forme nuove, incaricando l'architetto Cassi Ramelli del progetto. Nel 1943 il Lirico ospitò la stagione del Teatro alla Scala, molto danneggiato dai bombardamenti. Il 16 dicembre 1944 Benito Mussolini, in occasione della celebrazione della morte di Filippo Tommaso Marinetti, pronunciò il Discorso della riscossa. Nel dopoguerra, il Teatro Lirico tornò a svolgere il suo ruolo culturale. Nel 1960 venne concesso al Piccolo Teatro di Strehler, funzionando come sala grande. Si aprì un'importante stagione di opere di Brecht, di balletto, di concerti di Giorgio Gaber, di manifestazioni politiche, fino agli anni novanta, quando una crisi finanziaria ne provocò la chiusura. Sotto restauro per una nuova rinascita, nel 2003 è stato dedicato a Giorgio Gaber. Possiede una capienza di 1600 posti.

IL PICCOLO DI MILANO
facciata piccolo teatro milano
Il Piccolo di Milano fu fondato il 14 maggio 1947 da Giorgio Strehler, Paolo Grassi e Nina Vinchi. L'idea era quella di dare vita a un’istituzione sostenuta dallo Stato e dagli enti locali, in quanto pubblico servizio necessario al benessere dei cittadini. Teatro d’Arte per Tutti era lo slogan che accompagnava il Piccolo alla sua nascita e che anche oggi ne riassume pienamente le finalità: portare in scena spettacoli di qualità indirizzati a un pubblico il più ampio possibile. Il Piccolo gestisce oggi 3 sale: la sede storica Piccolo Teatro Grassi (Via Rovello - 500 posti) con sede in quello che fu Palazzo Carmagnola così chiamato poiché donato al famoso condottiero dal duca Filippo Maria Visconti, reso poi famoso dalla permanenza di Cecilia Gallerani che ricevette lo stabile dall'amante duca Ludovico il Moro. L'inaugurazione avvenne con L'albergo dei Poveri di Gorkij. La sede ha subito recentemente un restauro che ha portato anche al recupero del chiostro rinascimentale con la scoperta di alcuni affreschi legati a Bramantino. La 2ª sede è il Piccolo Teatro Studio (Via Rivoli – 370 posti), dove è ospitata la Scuola di Teatro. La 3ª sede è ora la principale (largo Greppi – 982 posti), inaugurata nel 1998 su progetto di Marco Zanuso. Già dagli anni '60 Strehler sognò un teatro nuovo e polivalente. Negli anni '80, leggendarie furono le sue continue dimissioni dalla direzione del teatro nella speranza di riuscire a far muovere quelle gru ferme da dieci anni nei pressi del Castello Sforzesco di Milano. Strehler non riuscì a vederne l'inaugurazione: morì nella notte di Natale del 1997. L'apertura della nuova sala fu comunque segnata dalla messa in scena del Così fan tutte di Mozart dello stesso regista. Dal 1991 il Piccolo Teatro di Milano è anche Teatro d’Europa: ha accentuato la propria dimensione internazionale e interdisciplinare, candidandosi quale ideale polo culturale cittadino ed europeo. Sui suoi palcoscenici si alternano spettacoli di prosa e danza, opere liriche, rassegne e festival di cinema, tavole rotonde e incontri di approfondimento culturale.
Giorgio Strehler (Barcola, Trieste 1921-Lugano 1997), regista e attore. Il palcoscenico è il luogo in cui si concretizza l'immagine del mondo dove, in punta di piedi, i grandi signori della scena, ai quali di diritto appartiene, possono dialogare con il popolo dei personaggi e attraverso di loro con gli spettatori. Ma anche tutto è nel testo e quanto è già stato detto e scritto può essere mediato, incarnato, dall'Attore. Dal 1947 Strehler dirige al Piccolo spettacoli che appartengono alla storia del teatro e della regia. Si può rintracciare l'interesse per l'uomo in tutte le sue azioni. In questo porre l'uomo sotto la lente d'ingrandimento del suo teatro, vennero alla luce alcuni rapporti che destavano interesse: l'uomo e la società, l'uomo e sé stesso, l'uomo e la storia, l'uomo e la politica. All'interno di una produzione stupefacente, a venire in primo piano è il lavoro sui segni del teatro (le scene, le atmosfere, le sue inimitabili luci, e quella capacità prodigiosa nel saper ricreare, con apparente leggerezza, situazioni di altissima poesia) e lo scavo esigente, duro, mai soddisfatto sulla recitazione, che trova il suo vertice nel vero e proprio corpo a corpo che egli instaura con gli attori: un vero esempio di maieutica.
Paolo Grassi (Milano, 30 ottobre 1919 – Londra, 14 marzo 1981) Legato da un'amicizia fortissima con Strehler, conosciuto (come sempre affermato da entrambi) alla fermata angolo via Petrella del tram numero sei - direzione Loreto-Duomo – fu dal 1972 al 1977 sovrintendente del Teatro alla Scala, mentre dal 1977 al 1980 presidente della RAI. In seguito diresse la casa editrice Electa ma morì prematuramente in Inghilterra a seguito di un fallito intervento chirurgico al cuore. È sepolto nel Civico Mausoleo Palanti presso il Cimitero Monumentale di Milano.
Nina Vinchi (Milano 27 marzo 1911 – 15 giugno 2009) Frequentò spesso i teatri cittadini e fu segnalata a Giorgio Strehler e Paolo Grassi, i quali cercavano una valida collaboratrice che li aiutasse a creare il Piccolo Teatro della Città di Milano, da alcuni attori Memo Benassi, Renzo Ricci, Eva Magni, Remigio Paone. Nel 1947 sposò Arturo Lazzari redattore capo del Calendario del Popolo e poi critico teatrale dell’Unità. Uomo tranquillo, molto colto, fu di grande aiuto ai tre pionieri del nuovo teatro. Nina resse il peso dell’organizzazione produttiva e amministrativa del Piccolo Teatro cercando di fare interagire le ragioni dell’arte a quelle di una perfetta gestione finanziaria. Lazzari morì nel 1975 e due anni dopo Nina si unì in matrimonio con Paolo Grassi. Inossidabile, amata, temuta, venerata, Nina Vinchi non ha mai smesso un solo istante di guidare il suo teatro verso quell’eccellenza che la gente di teatro del mondo intero le riconosce. Innumerevoli sono i premi che le furono attribuiti: la Medaglia d’argento della Città di Milano, la nomina a Grand’ufficiale al Merito della Repubblica, la Medaglia d’Oro del Premio della Riconoscenza della Provincia di Milano, la nomina francese di Officier des Arts et des Lettres, il Premio Maratea per una vita nel teatro.

TEATRO CARCANO
Alla fine del '700 il Piermarini fu incaricato di sistemare corso di Porta Romana, provvedendo a restaurare le case, intervenendo sulle decorazioni architettoniche con gusto personale, ordinando il miglioramento del suolo stradale selciato a nuovo e listato di trottatoi di granito sui quali sfrecciavano (si diceva a quel tempo) i cocchi spesso spinti a velocità smodate. Nel 1801 la Società teatrale della Casa Carcano decise di trovar spazio per un nuovo grande teatro. Si scelse l'area dell'ex convento di San Lazzaro, acquistata da Giuseppe Carcano. L'architetto Luigi Canonica realizzò l'edificio tenendo come modello la Scala e il Teatro della Cannobiana. Il Teatro Carcano ha quattro ordini di palchi, volta decorata a stucchi e dorature, un medaglione centrale, ornamenti dappertutto di tipo neoclassico. Posti dai 1200 ai 1500. Il 3 settembre 1803 la nobiltà e la ricca borghesia riempirono il teatro per la serata inaugurale: il programma comprendeva Zaira tratta dal dramma di Voltaire, musicata da Vincenzo Federici e il ballo Alfredo il grande musicato da Paolo Franchi. L'attività proseguì con un certo lustro e con intervento di artisti famosi. Una serata memorabile fu quella del 15 ottobre 1813 nel corso della quale Niccolò Paganini venne proclamato primo violinista del mondo: le sue "Streghe" - scrisse un cronista - sbalordirono e intontirono. Sul palcoscenico del Carcano passarono negli anni le più grandi dive della lirica, dalla Pasta alla Malibran. Giuditta Pasta tenne a battesimo prima Anna Bolena di Donizetti e poi, la sera del 6 marzo 1831, La Sonnambula composta da Bellini, a Milano, in due mesi. Dopo Beatrice di Tenda, altra primizia belliniana, Maria Malibran legò il suo nome (1833) a celebri edizioni di Norma e de La Sonnambula. Una pagina di Carlo Cattaneo in "Notizie naturali e civili sulla Lombardia", da uno spaccato preciso della Milano degli anni attorno al 1840: "I bastioni solitari e paurosi, ove si seppellivano i giustiziati, divennero ombrosi passeggi; si tolse il lezzo alle strade; e l'orrida abitazione dei cadaveri si rimosse dalle chiese; si sgombrarono dagli accessi dei santuari i mendicanti, ostentatori d'ulceri e di mutilazioni; a poco a poco non si videro più nella città piedi nudi e abiti cenciosi. Si apersero teatri, ove le famiglie, inselvatichite da sette generazioni, impararono a conoscersi, e gustarono le dolcezze del vivere civile, della musica, della poesia. II genio musicale rispetta e ambisce il giudizio del nostro popolo; un solo carnevale in uno dei minori nostri teatri diede al diletto dell'Europa la Sonnambula e Anna Bolena. Regnò la tolleranza di tutti i culti; e si aperse ospite soggiorno agli stranieri che apportavano esempi di capacità e d'intraprendenza. S'introdussero le scienze vive nella morta Università; si fondarono accademie di belle arti; rifiorì l'architettura, l'ornato riprese greca eleganza; s'innalzarono osservatori astronomici, si costrusse la carta fondamentale del paese; si apersero nuove biblioteche; le madri tolsero ai cuochi a agli stallieri la prima educazione dei figli. Soave rifece tutti i libri elementari; Parini, Mascheroni, Arici ricondussero l'eleganza letteraria indirizzandola ad alti fini scientifici e morali; Beccaria lesse economia politica; surse a poco a poco quella costellazione di nomi splendidi alle scienze a alle arti: Volta, Piazzi, Oriani, Appiani, cogli altri che la continueranno fino ai viventi. Gli allievi di tanto senno si sparsero in tutte le province, e propagarono in tutte le classi quel fausto movimento di cose e di idee che ci attornia da ogni parte, e ci arride all'immaginazione." Il Carcano vide le barricate delle Cinque Giornate erette proprio li davanti al suo ingresso. Fiero del suo blasone patriottico, fu il primo teatro a riprendere le rappresentazioni, la sera del 30 marzo, con la Compagnia Nazionale Lombarda diretta da Giuseppe Moncalvo scoppiettante di legittimo entusiasmo; lo spettacolo si concludeva con un "grazioso dialogo tra Metternich e Radetzky con Meneghino locandiere". Nell'ordine naturale delle cose che, ritornati gli austriaci, il Carcano dovesse fare spesso i conti con la censura. Alla lirica, nuovamente in gran voga dopo il 1850, si alternarono la prosa, gli spettacoli da circo e i concerti bandistici. Vi fu la prima di El nost Milan, avvenuta la sera del 6 febbraio 1893 di Carlo Bertolazzi. Un alternarsi di diversi impresari, sul finire del XIX secolo, contribuì alla prima morte del teatro. Nel 1904 la sala era ormai ridotta a mal partito. Il Carcano tornò a funzionare grazie a Luigi Gianoli, grazie al progetto dell'architetto Nazzareno Moretti. Vennero demoliti alcuni stabili attorno. La nuova facciata rientrante a emiciclo e l'ampio porticato con un'aiuola antistante, riflettono i nuovi a anche incerti orientamenti del gusto con contaminazione eclettica di reminiscenze neoclassiche e influenze dello stile floreale. Si riaprì la sera dal 29 maggio 1913. Nel secondo dopoguerra il Carcano ebbe una crisi. Fu del dicembre 1946 la sua definitiva chiusura, come teatro. Adattato a cinema, riaprì l'8 ottobre 1948 con uno spettacolo dal titolo Le 4 arti rendendo omaggio a prosa, danza a musica. Nei primi anni Ottanta il Carcano viene recuperato alla sua originaria vocazione e da allora svolge un ruolo fondamentale nella vita culturale milanese. Sotto la direzione artistica di Giulio Bosetti - dal 1997 fino alla sua scomparsa a dicembre 2009 - il Carcano si è distinto come teatro dedicato essenzialmente alla prosa.

TEATRO FOSSATI
Destinato negli anni '80 all’ambizioso programma di Piccolo Teatro di Giorgio Strehler e Paolo Grassi, il teatro Fossati nacque come teatro diurno nel 1859, su progetto dell’architetto Fermo Zuccari, in una zona popolare. Costruito su un terreno appartenuto alla chiesa di Santa Maria degli Angioli, fu inaugurato il 25 aprile alle ore 16.30 con La colpa vendica la colpa, dramma di Paolo Giacometti. La struttura apparteneva a quel gruppo di teatri diurni, con una sala aperta verso il cielo, che erano destinati alle classi popolari, attraverso un repertorio che si specchiava alle attese del pubblico, attraverso localizzazioni decentrate, dove omogeneità di ceto e densità potevano garantire affluenza costante. Pur trovandosi a breve distanza dal centro, aveva sede in una zona umile composta prevalentemente da artigiani, piccoli commercianti, ortolani. Pensato per spettacoli pomeridiani, il Fossati aveva in origine un impianto vagamente elisabettiano, scoperto, con sala a ferro di cavallo e tre ordini di logge per una capienza complessiva di circa 1000-1200 spettatori. Presentava l’anomalia di due facciate contrapposte, di diverso rango ed estensione, entrambe decorate in terracotta dallo scultore Andrea Boni. Statue Garibaldi e Anita su Corso Garibaldi. Dal 1925 fu utilizzato sporadicamente per spettacoli di varietà e proiezioni cinematografiche. Su progetto di Marco Zanuso e Pietro Crescini il Fossati riaprì come Teatro Studio nel 1987 di fronte al cantiere del nuovo Piccolo. L’intervento ha restaurato i fronti originali anche dell’edificio attiguo, nel quale sono allocati gli uffici e gli spazi comunicanti della Scuola europea di teatro. Dentro l’involucro svuotato del vecchio Fossati si è recuperato il tracciato ellittico della sala preesistente sostituendola con un nuovo invaso definito da una parete portante in muratura di mattoni pieni, alla quale si aggrappano 4 ordini di ballatoi in lastre prefabbricate di cemento armato sostenute da mensole e protette da parapetti in ferro. Il palcoscenico rettangolare si fonde senza soluzione di continuità con la sala e anche la copertura in capriate di larice posate direttamente sulle murature d’ambito perimetrali, sottolinea l’unità ideale dello spazio interno. Coerente rispetto alla propria natura di teatro sperimentale, il nuovo Fossati presenta uno spazio in cui non c'è distinzione tra luogo della rappresentazione e luogo della ricezione. È offerta una nuova possibilità di usufruire degli stessi elementi spaziali sia da parte degli attori che del pubblico. In tal modo, sia la platea può essere usata dagli attori, sia il palcoscenico dal pubblico, sia i ballatoi da entrambi.

TEATRO ARSENALE
Il Teatro Arsenale ha sede in un edificio risalente al 1272 in via Cesare Correnti. La costruzione originariamente fu luogo di culto dedicato ai Santi Simone e Giuda. Nel 1300 vi ebbe luogo il famoso processo d’Inquisizione contro Maifreda da Pirovano, un’Umiliata appartenente alla famiglia di Matteo Visconti, signore di Milano. Nel corso del tempo, la chiesa fu annessa al Collegio dei Calchi e dei Taeggi. Sconsacrata in epoca napoleonica, dal 1810 iniziò una metamorfosi che si è protratta fino ai giorni nostri: teatro, sala da ballo, deposito, teatro delle marionette, di nuovo luogo di culto, sede di associazioni e infine, dal 1978, sede del Teatro Arsenale, che riprende nel nome la funzione di deposito svolta nell'800. Profondamente ricco di storia, luogo di emblematici avvenimenti della vita spirituale ed artistica milanese, ha un fascino particolare che colpisce chiunque vi entri. La sala è un'area rettangolare completamente vuota che si presenta come un involucro di cui non si percepiscono le dimensioni. Per questo è stata definita la black box milanese. La flessibilità dello spazio è di grande supporto alla creatività e può originare inedite soluzioni di allestimento. Si generano effetti spaziali fortemente emozionali e spettacolari anche con il solo ausilio della regia luci, o con pochi elementi scenografici. Dell'originaria architettura si conserva l'abside con i tre archi che accolgono lo spettatore che entra in sala. Il livello del pavimento dell'abside è sopraelevato di circa 60 cm rispetto a quello della sala ed è separato da gradoni. Dall’altro lato, si affaccia la balconata del gineceo che, originariamente, ospitava le suore di clausura che seguivano, così appartate, le messe. Attualmente gli può essere assegnata una funzione integrata con lo spazio della sala in base alle esigenze dell'evento. L'interno dell'edificio presenta alte finestre ogivali, che possono essere oscurate o lasciate a vista in funzione delle esigenze di utilizzo della sede. Le dimensioni della sala sono di 18x10m, una superficie interna di circa 200 mq, comprendendo la parte dell’abside, l’altezza utile è di 5,50 m. La capienza massima è di 150 persone.

TEATRO DEI FILODRAMMATICI
All’ingresso di Napoleone Bonaparte nel 1796, furono sconsacrati diversi luoghi di culto, tra i quali il Collegio de’ Nobili, fondato da Carlo Borromeo e gestito dai Padri Barnabiti. Venne così creata la Società del Teatro Patriottico, grazie anche a Giovanni Bernardoni, stampatore di Milano, per diffondere le idee democratiche del nuovo governo. Nel 1798, i Barnabiti ripresero possesso del collegio e la Società del Teatro Patriottico, grazie all’intervento della Repubblica Cisalpina, del Comune di Milano e di tanti cittadini simpatizzanti, offrì l’incarico a Luigi Canonica per la costruzione di un teatro. La sala avrebbe avuto a disposizione circa 1.000 posti, divisi in quattro ordini a logge e senza palchi, per rispondere ai principi e all’ideologia democratica del tempo. Nel 1805 il Teatro fu ribattezzato Teatro dei Filodrammatici con l'omonima Accademia, che vide il susseguirsi di noti presidenti, soci, insegnanti e attori (es. Vincenzo Monti, Carlo Porta, Ugo Foscolo, Cesare Beccaria, Giuseppe Giacosa – Giuseppe Verdi che fu direttore e maestro di cembalo). Gli spettacoli andavano in scena il venerdì, giorno di chiusura del Teatro alla Scala. L'Accademia aveva anche il compito di istruire il pubblico: entrare con pagamento, non fumare, non stare in piedi, non tenere il cappello in testa, non entrare a spettacolo iniziato, non chiedere il bis. La struttura originale venne sostituita nel 1904 con un edificio dalle forme liberty, dagli architetti Laveni e Avati. Di questa struttura si conserva solo la facciata con decorazioni e intrecci floreali in stucco e ferro tipici dell’epoca, mentre l’interno fu rifatto completamente dall’architetto Luigi Caccia Dominioni negli anni ’60, dopo la parziale distruzione causata dalla 2ª guerra mondiale. La sala, dopo essere stata affidata a partire dagli anni ‘70 a diverse compagnie teatrali, è tornata ad essere direttamente gestita dalla stessa Accademia.

TEATRO DAL VERME
interno teatro dal verme milano
La storia del Teatro Dal Verme cominciò curiosamente nel 1864 con il cavallerizzo milanese, Gaetano Ciniselli che, acclamato su tutte le piste d’Europa e famoso in Russia, fu insignito del titolo di cavallerizzo onorario di Sua Maestà il Re d’Italia. Per accoglierlo degnamente nella sua città fu costruito un circo tra le attuali vie San Giovanni sul Muro e Foro Bonaparte, il Circo Ciniselli che chiamato Politeama dal 1866, iniziò ad ospitare compagnie drammatiche e liriche nei periodi in cui Ciniselli si esibiva all’estero. Tutto ciò non bastò a farne un locale ben frequentato e le proteste degli abitanti del quartiere indussero il Conte Francesco Dal Verme, erede del nobile casato e proprietario di molti appartamenti nella zona, a dichiararsi disponibile all’acquisto dell’area del Politeama. Le trattative tra Gaetano Ciniselli e Francesco dal Verme andarono avanti per anni, ma alla fine il Conte riuscì a spuntarla e il 14 settembre 1872 fu inaugurato lo splendido Teatro Dal Verme. Progettato da Giuseppe Pestagalli, poteva ospitare oltre 3000 persone, era dotato di una platea trasformabile in gradinata e di un palcoscenico adatto alla realizzazione di opere liriche. L’opera scelta per l’inaugurazione fu Gli Ugonotti di Giacomo Meyerbeer. Furono memorabili le prime di Le Villi dell’esordiente Giacomo Puccini (31 maggio 1884) e dei Pagliacci di Ruggero Leoncavallo (21 maggio 1892). Il Dal Verme divenne un punto di riferimento per la Milano colta e moderna. Nei primi anni del Novecento il Dal Verme divenne un tempio dell’operetta. Il successo dell’operetta fu tale che era necessario prenotarsi con un anno di anticipo per poter assistere ad una replica. Negli anni il Dal Verme si aprì ad ogni tipo di spettacolo, divenne il luogo di sperimentazione prediletto dai Futuristi per le loro performance. Per qualche stagione ospitò pure incontri di boxe. Negli Anni '30 fu trasformato in cinema. I bombardamenti del 1943 ne distrussero gli interni nonché la splendida cupola originaria che venne poi spogliata di tutte le parti metalliche dai tedeschi. Restaurato nel 1946 e di nuovo destinato al cinematografo, negli anni '50 venne destinato ad ospitare per qualche stagione le riviste musicali; si tornò poi al cinema e, saltuariamente, ai congressi politici. La speranza di riportare il Teatro Dal Verme ai lustri del passato si riaccese quando, nel 1964, gli architetti Ernesto Rogers e Marco Zanuso approntarono un progetto che ne prevedeva l'utilizzazione come nuova sede del Piccolo Teatro. Il progetto non andò in porto soprattutto a causa di difficoltà finanziarie. Si arrivò così ad un progressivo abbandono della struttura fino alla definitiva chiusura negli Anni Settanta. Nel 1981 il Comune e la Provincia di Milano acquistarono il Teatro e nel 1987 fu firmata una convenzione con la RAI per la ristrutturazione e trasformazione in auditorium. Il dal Verme avrebbe dovuto essere destinato ad ospitare le Stagioni dell'Orchestra Sinfonica della RAI di Milano che ne avrebbe dovuto gestire i lavori di ristrutturazione. I lavori iniziano nel 1991, ma lo scioglimento dell'Orchestra della RAI avvenuto nel 1994 interruppe le operazioni. Nel 1998 la RAI riconsegnò quindi la struttura al Comune e alla Provincia di Milano e i lavori ripresero definitivamente il 18 gennaio 1999 con uno stanziamento di 23 miliardi di Lire. La ristrutturazione si compì in tempi record e il nuovo Teatro Dal Verme venne inaugurato il 5 aprile 2001, con una settimana di concerti e rappresentazioni che coinvolsero le massime istituzioni teatrali di Milano. E’ palcoscenico di riferimento per le maggiori produzioni nazionali ed europee e sede prediletta per la realizzazione di Convegni e Congressi internazionali, Festival di Letteratura, Arte, Cinema e Filosofia; è spazio aperto per gli incontri con i più alti esponenti della società, della politica e della scienza mondiali. Il Dal Verme è la sede dell’attività sinfonica della storica Orchestra I Pomeriggi Musicali, ed è il luogo di una programmazione molto articolata ed eterogenea che apre Milano su un vastissimo panorama musicale che va dal repertorio classico e sinfonico alla scena del rock indipendente, dal jazz alla musica elettronica, dal pop alle maggiori espressioni della musica folk contemporanea internazionale. Possiede 1436 posti a sedere (1240+196) e un palco di 22 x 14m.

TEATRO ARCIMBOLDI
veduta teatro arcimboldi milano
Eccellenza per l'intera area Bicocca, il teatro attira un pubblico anche metropolitano e regionale. Progettato da Gregotti Associati alla fine del 2001, fu usato per 2 anni come sostituto della Scala durante i lavori di restauro. Collocato fuori asse rispetto alla maglia ortogonale dominante, con ampia vetrata inclinata che copre il foyer, ne spicca all'esterno la torre scenica alta 40m. Colore dominante è il bianco che si contrappone alla fascia grigia che percorre tutto il basamento dell'edificio. La facciata principale è leggermente ricurva, dominata dal vasto lucernario inclinato di 486 lastre di vetro. Esso conferisce l'aspetto di una grande lanterna illuminata. La pensilina bianca segna l'ingresso al teatro e si allunga sulla piazza triangolare antistante; al centro vi sono i blocchi di acciaio della scultura di Giuseppe Spagnuolo. L'interno comprende un volume che corrisponde a tutta l'altezza del foyer. Da un lato è ritmato dai bianchi pilastri di 15m che sostengono il lucernario e dall'altro si affacciano tripartite le balconate sovrapporte. La pianta è simile a quella del teatro alla Scala, ma è molto più capiente: 2400 spettatori 2 livelli di platea e 2 gallerie. Pavimenti e parete sono interamente coperti in legno. Cromatismo caldo e luminoso, colore simile a quello del cotto, contribuiscono all'acustica.


Lettura Consigliata:
I Teatri di Milano
Domenico Manzella - Emilio Pozzi
Mursia
1971 - 306 pag
 

Leggi questo libro se vuoi saperne di più sui teatri di Milano!
 
 


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